Umana Santità e Satanica Divinità: gli ossìmori di Mel Gibson

Sapete tutti cos’è un “ossìmoro”, giusto? Parliamo ossia di quella figura retorica usata per dare maggiore forza ad una descrizione, prendendo in prestito dalla poesia la sua libertà sfrontata ed il suo stile immaginifico, accostando due termini teoricamente opposti, come quando viene denigrato qualche pensatore chiamandolo «ateo devoto» per la sua testardaggine nel difendere il suo agnosticismo orgoglioso oppure indicando un’opera di artigianato o d’ingegno come una «imitazione genuina» solo per sottolineare che il suo autore non si è nemmeno reso conto di aver fatto un plagio ed infine, in modo ancora più sottile, quando in alcuni romanzi un personaggio viene descritto vivere in una situazione di «confortevole sofferenza», per esprimere il suo piacere nel crogiolarsi in uno stato di costante dolore, usando il suo vittimismo come difesa dal mondo in cui si trova a disagio e perché inconsciamente spera di ottenere così più attenzione da chi normalmente non gliene dispensa: l’ossimòro, quindi, non è un errore grammaticale o sintattico, ma è piuttosto un paradosso con però delle precise giustificazioni.

Danny Glover e Mel Gibson in Lethal Weapon, USA, 1987, Regia di Richard Donner

Tutto questo per introdurre il mio post odierno, dove ho scelto di presentarvi una profonda rielaborazione di un mio vecchio testo, dedicato alla controversa figura del cineasta Mel Gibson, famosissimo attore di tantissime pellicole di successo nel genere action, ma anche autore e regista di soli cinque lungometraggi, quindi pochissimi se pensiamo ai tanti anni di carriera, ma che sembrano molti di più per via del forte impatto mediatico che ciascuno di essi ha sollevato al momento della sua uscita, sempre con un messaggio morale potente, mai semplicemente suggerito, ma anzi urlato a pieni polmoni.
In particolare, ciò su cui ho voluto focalizzare la mia attenzione è una delle essenza stesse del suo stile registico visionario ovvero il modo ossimorico con cui nei suoi film ha portato in scena il Martirio e l’Estasi, mescolando in essi aspetti satanici e significati religiosi, quindi in contrasto anche viscerale, ma assolutamente sincero.

Avrei potuto scegliere qualcosa di più azzeccato per il week-end di Pasqua?
Probabilmente si, ma mi piace pensare il contrario.

Milla Jovovich in The Messenger: The Story of Joan of Arc, FRA, 1999, Regia di Luc Besson

Sto ora per muovermi su un terreno delicatissimo, perché i significati testuali presenti in un film (tutto ciò che quindi viene dichiarato e raccontato in modo diretto e chiaro), nel caso delle opere d’arte vere e proprie vanno a collidere con la più rarefatta ed impalpabile necessità dell’artista di trasmettere anche ciò che invece non è spiegabile razionalmente e nel caso di Gibson tutta la sua incrollabile fede politica per una rivalsa dell’individuo sulla collettività anonima e sulle forme di governo troppo burocratizzate, il suo fervente credo religioso ed infine tutto il suo patriottismo sfrenato si sciolgono come neve al sole di fronte al suo bisogno profondo di rappresentare sopra ogni altra cosa l’estasi, a costo di ibridare la sacralità di una storia con la tradizione del masochismo maschile in arte e quindi inevitabilmente con la perversione del demoniaco, in pratica un ossimoro concettuale.

Renée Falconetti in La passion de Jeanne d’Arc, FRA, 1928, Regia di Carl Theodor Dreyer

Nello squilibrato ma rigoroso film The Messenger: The Story of Joan of Arc del 1999, Luc Besson ci aveva mostrato in continuo parallelo (quasi uno split-screen tra realtà e misticismo) l’evolversi delle vicende storiche e l’ardore del sincero sentimento di fede dell’eroica ed invasata Pulzella d’Orléans, dandoci quindi sempre modo di separare la verità storica dal vissuto della beata, mentre nel capolavoro del cinema muto La passion de Jeanne d’Arc del 1928, Carl Theodor Dreyer aveva scelto di rappresentare l’estasi del martirio attraverso un modernissimo susseguirsi incessante di primissimi piani, sia del volto della prigioniera condannata a morte (tale infatti fu il tragico destino dell’eroina che dopo aver di fatto regalato il potere alla dinastia dei Capetingi, fu abbandonata dal nuovo re ai suoi nemici e condannata al rogo per eresia religiosa), sia dei suoi aguzzini, spostando il suo martirio in una dimensione fuori del tempo e della storia.

Martyrs, FRA, CAN, 2008, Regia di Pascal Laugier

L’estasi del martire, per un cinefilo, richiama subito lo scopo finale della ricerca di Mademoiselle in Martyrs, lo sconvolgente capolavoro horror di Pascal Laugier, ma prima di lui c’erano state in pittura l’estasi con cui Giotto alla fine del ‘300 raffigura il suo San Francesco (affresco visibile nella Basilica superiore di Assisi), l’olio dipinto nel 1743 da Batoni Pompeo Girolamo per la sua Estasi di Santa Caterina da Siena, ma soprattutto la bellissima Maddalena in Estasi della caravaggesca Artemisia Gentileschi.

Maddalena in Estasi, 1620-1650, olio su tela di Artemisia Gentileschi

Tutte queste opere ci aiutano a comprendere come l’estasi sia di fatto un momento di assoluta evasione della realtà, che nel mistico diventa contatto con il divino, ma anche se vogliamo con il demoniaco ed è esattamente proprio quest’ultima l’intuizione artistica che Gibson esprime nelle due scene madri dei suoi due veri unici film, laddove tutto il resto diventa quasi esercizio di stile di supporto ovvero la scena della tortura di William Wallace sul patibolo, in Braveheart del 1995 e quella della flagellazione di Gesù, in The Passion of the Christ del 2004: tutti certamente conoscono la fede profondamente cristiana di Mel Gibson e di certo si può immaginare come sia ben radicato in lui il concetto di “martire” nel suo significato più ancestrale e proto-cristiano, dal greco antico màrtyr ossia “testimone” di una verità per la quale si è disposti a morire, perché martiri in modo pieno e netto sono i protagonisti di questi due film, come l’eroico condottiero scozzese William Wallace, che sceglie la morte tra atroci sofferenze pur di non rinnegare la sua fede in una terra ed in un popolo liberi dall’oppressore e come Gesù Cristo, che muore sulla croce per portare il messaggio divino in mezzo agli eretici ed agli infedeli.

Braveheart, USA, 1995, Regia di Mel Gibson, Sceneggiatura di Randall Wallace

Prima di tutto deve aver luogo la Tortura, testualmente raccontata come conseguenza della prigionia e della condanna del protagonista (così avviene per il Cristo in The Passion e così per William Wallace in Braveheart, entrambi portati in catene dai loro aguzzini per essere esposti alla gogna del pubblico ludibrio), ma artisticamente in realtà rappresentata come tramite necessario per raggiungere l’Estasi: è esattamente questo il meccanismo con cui nelle sceneggiature e nel montaggio di tutti e due i nostri film viene sviluppato il viatico per le sequenze metafisiche, che ora andremo ad esaminare singolarmente.

Braveheart, USA, 1995, Regia di Mel Gibson, Sceneggiatura di Randall Wallace

Quando nell’ultima parte del lungometraggio dedicato all’eroe e patriota scozzese si arriva al momento della tortura nella piazza, ci si accorge che Gibson ha trattato i suoi spettatori come nel film viene anche trattata la folla che assiste sotto al patibolo, ossia prima ammaliandola con l’eroismo del suo personaggio e poi terrorizzandola per lo sbudellamento continuato (non mostrato, ma suggerito in modo esplicito), tanto da spingere, sia nella finzione come nella realtà, lo spettatore stesso ad implorare la resa del condannato, affinché una morte rapida sopraggiunga a terminare quello strazio: senza contare tutta la lunga preparazione, parliamo di più di 6 minuti, un’enormità per un film della metà degli anni ’90, che fino a quel momento, pur senza lesinare sangue e dettagli raccapriccianti, aveva avuto soprattutto un afflato storico e sentimentale, rivolgendosi ad un pubblico il più vasto possibile.

Braveheart, USA, 1995, Regia di Mel Gibson, Sceneggiatura di Randall Wallace

In Braveheart la tortura ha luogo in tre atti, con una sorta di catalogo raccapricciante delle pratiche più in voga nel Medioevo:

  • Hanged by the neck – Impiccato e Soffocato per il collo, non necessariamente mortale (fermandosi per tempo).
  • StretchingAllungamento forzato, in questo caso con due uomini per le braccia ed un cavallo per le gambe, anch’esso non necessariamente mortale (sempre ovviamente fermandosi per tempo).
  • DisemboweledSventramento, laddove l’addome viene aperto con un falcetto e le interiora lentamente estratte mentre il soggetto é ancora in vita, ma dopo 6 o 7 metri di intestino questi muore in modo categorico.

È proprio nella descrizione di questo terzo atto che il nostro regista, all’apice della rappresentazione della sofferenza, mette in scena l’Estasi.

Braveheart, USA, 1995, Regia di Mel Gibson, Sceneggiatura di Randall Wallace

Il boia ha già alzato il braccio che regge la scure con cui sta per mozzare la testa di Wallace, quando Mel Gibson ferma il tempo, lo distorce, allungandolo in modo impossibile, perché il suo eroe in quell’istante ha raggiunto uno stato di coscienza in cui non sente nemmeno più il dolore, trovandosi in quella dimensione, quasi astrale, dove i santi e gli sciamani sviluppano la prescienza ed è per questo che riesce ad accorgersi della presenza di Murron, la sua donna amatissima, uccisa dagli inglesi all’inizio della storia: egli solo riesce a vederla in mezzo alla folla, mentre l’attraversa di lato incurante di tutto, finché ella gli sorride, come già fosse nel regno dei cieli, dove attende il suo uomo nella pace eterna, ricompensa per gli eroi che hanno combattuto per la giustizia, per i beati che hanno resistito al dolore, per i martiri che hanno incontrato il divino nel dolore prima di spegnersi.
Poi il tempo riprende a scorrere e la scure del boia taglia la testa di Wallace.

Braveheart, USA, 1995, Regia di Mel Gibson, Sceneggiatura di Randall Wallace

Spendete 66 secondi del vostro tempo e guardatevi la clip seguente, tenendo bene a mente quello “spostamento laterale” che Murron compie indisturbata in mezzo alle altre persone, senza che nessuno possa ovviamente avvedersi della sua presenza incorporea, perché lo ritroveremo identico, dopo 9 anni, in The Passion: quel particolare movimento viene chiamato, dagli pseudo-ricercatori dell’occulto (che spesso hanno preteso di immortalarlo in foto o riprese video di dubbia fattura), la “mossa del diavolo” (Devil’s Move) e la qual cosa è notevole, considerando che qui lo spirito di Murron dovrebbe essere un angelo:

Nei sette anni successivi all’uscita del grandioso successo di pubblico di Braveheart, Gibson continua la sua attività di attore (magnifica, tra l’altro, la sua interpretazione di un pastore protestante, che dopo la morte del figlio ha messo in crisi la sua stessa fede in Dio, nel film di fantascienza Signs di M. Night Shyamalan, girato proprio questo periodo), ma nel frattempo studia i testi di due mistiche cattoliche, pesantemente antisemite, Maria di Agreda e Anne-Catherine Emmerich: sarà in particolare sulle parole di quest’ultima che comincerà a costruire il progetto cinematografico della sua intera vita ossia un film sugli ultimi momenti di vita di Gesù.

Chiara Cingolani in Rebel Spirits – Ep. 1 Anne-Catherine Emmerich, ITA, 2017

La lettura delle parole della beata Emmerich, affiancate alla conoscenza già posseduta del Vecchio e del Nuovo Testamento, produrranno in Gibson un processo interiore che lo condurrà in The Passion ad un apparentemente sacrilego ed irriverente filo di empietà identificativa, con il quale metterà in scena la figura umanizzata del Cristo (incarcerato dai romani perché rivoluzionario, sia politicamente che religiosamente), al pari di un nuovo William Wallace, ma soprattutto come la rappresentazione di se stesso e del suo furore fideistico di artista perennemente in lotta, convinto di essere il depositario di verità sovrumane.

The Passion of the Christ, USA, 2004, Regia e Sceneggiatura di Mel Gibson (con Benedict Fitzgerald)

Come già era stato William Wallace, Gibson ora è anche Cristo, tanto che sono realmente suoi i piedi che Monica Bellucci (nei panni di Maria Maddalena, forse nel ruolo più convincente di tutta la sua carriera di attrice) pulisce fisicamente nel film e sempre sue sono le dita riprese nel dettaglio delle mani di Gesù inchiodate durante la lunga scena della crocefissione, con un furore verso il proprio corpo che ha il gusto della penitenza e della fustigazione autoinflitta: è così che la sua ricerca dell’Estasi diventa in The Passion la sublimazione catartica di quanto già visto in parte in Braveheart, perché qui la mossa del diavolo non sarà compiuta da un presunto angelo o da un fantasma, ma dal Demonio stesso (impersonato da una sorprendente Rosalinda Celentano, resa appositamente emaciata da una dieta a base di solo riso e fagioli, a cui fu obbligata dal nostro regista per tutta la durata delle riprese del film) e dall’Anticristo (un mostruoso bambino dall’aspetto di un vecchio, portato sullo schermo dall’attore italiano Davide Marotta, scelto in un guizzo di geniale scorrettezza di casting non solo per il suo nanismo, ma per essere stato interprete di mostri deformi in Phenomena di Dario Argento ed in Demoni 2… L’incubo ritorna di Lamberto Bava).

The Passion of the Christ, USA, 2004, Regia e Sceneggiatura di Mel Gibson (con Benedict Fitzgerald)

Questo processo identificativo, interiore ed artistico, è essenziale per comprendere il valore dell’accanimento visivo che Gibson decide di mettere in scena sul corpo umano di Gesù, che viene nel film mostrato in un crescendo di drammaticità senza precedenti anche per pellicole espressamente costruite sulla tortura: tolto 1 minuto scarso di flashback e 3 minuti complessivi di intense scene preparatorie e conclusive della lunghissima tortura, restano circa 8 minuti di flagellazione, fotografata nel dettaglio della pelle che si lacera e si strappa sotto le frustate ed i colpi tirati con il flagrum (sferza normalmente costituita da funicelle di cuoio con nodi e palline di piombo all’estremità, ma qui rappresentata nella variante più sadica possibile ovvero quella con ganci di ferro, atti a rendere più veloce il lavoro di rimozione della carne).

The Passion of the Christ, USA, 2004, Regia e Sceneggiatura di Mel Gibson (con Benedict Fitzgerald)

A proseguire il significativo parallelo tra i due film, anche in The Passion la tortura si svolgerà in tre tempi, con tre fasi incrementali di fustigazione: le vergate iniziali, l’uso brutale del successivo flagrum (in cui vedremo la pelle di Gesù che si strappa ed il sangue che schizza sulla faccia del centurione che sta ridendo) ed infine il dolore oltre ogni soglia, il terzo atto, quando il flagrum, già usato in modo devastante sulla schiena precedentemente piagata e lacerata dalle verghe, viene adoperato ora per colpire il condannato girato a faccia e torace in su, massacrandolo quindi a 360 gradi: essendo inedita tale procedura di fustigazione (tranne nei casi di condanna a morte, che però in quella fase della storia non era stata ancora comminata da Pilato), Gibson fa intuire allo spettatore che l’eccesso di zelo da parte dei legionari romani nel colpire il Cristo potrebbe essere dovuto all’intervento (divino?) del Demonio, che passando tra i soldati e godendo dello spettacolo sadico inferto al suo nemico, ne avrebbe rincarato la dose.

Siamo infatti arrivati anche in The passion all’atteso momento della Devil’s Move, a quel movimento del Diavolo che avevamo conosciuto in Braveheart e che qui ritroviamo sublimato ed ingigantito, tanto da essere presentato persino in due sequenze distinte, di cui la prima è di fatto solo anticipazione drammatica ed esplicativa della seconda:

Con un climax lineare di ferocia, scandito anche dal conteggio in lingua latina dei colpi portati dai torturatori, lo spettatore viene accompagnato attraverso il demoniaco corrispettivo filmico della transustazione sacerdotale: come un prete che nella Messa mostra il mutamento di tutta la sostanza del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, così Gibson schizza letteralmente il suo pubblico del sangue e del corpo scarnificato di Gesù, torturando lo spettatore (tentandolo) nella fede ed anche nella redenzione dalla malvagia parte sadica del proprio inconscio, mentre ammira l’estetica del dolore.

The Passion of the Christ, USA, 2004, Regia e Sceneggiatura di Mel Gibson (con Benedict Fitzgerald)

Si giunge in questo modo al vero momento epifanico dell’estasi, con la discesa sulla terra di quel piano astrale di cui parlavamo per Wallace, portandoci direttamente nel centro del teatro metafisico ove si svolge la battaglia con il Demonio, aspettando in modo beffardo ed arrogante una vittoria sul figlio di Dio che invece non arriverà.

Sono non più di quaranta secondi, per una imperdibile sequenza, talmente densa di significati da perdersi in un pozzo di rimandi:

Il nostro viaggio dentro gli ossìmori narrativi del cinema di Mel Gibson, ai confini del Martirio e dell’Estasi, è finito e davvero mi scuso per il fiume di parole che ho usato per condurvi fin qui: permettetemi però un’ultima cosa, di inviarvi i migliori Auguri di una serena Pasqua da parte mia e di Silvia!


In questo post, ho parlato dei seguenti film:

La passion de Jeanne d’Arc, FRA, 1928
Regia: Carl Theodor Dreyer (assistito da Paul La Cour)
Sceneggiatura: Carl Theodor Dreyer e Joseph Delteil

Braveheart, USA, 1995
Regia: Mel Gibson
Sceneggiatura: Randall Wallace

The Messenger : The Story of Joan of Arc, FRA, 1999
Regia: Luc Besson
Soggetto e Sceneggiatura: Luc Besson e Andrew Birkin

The Passion of the Christ, USA, 2004
Regia: Mel Gibson
Sceneggiatura: Mel Gibson e Benedict Fitzgerald
dal Nuovo Testamento e da The Dolorous Passion of Our Lord Jesus Christ
della beata Anne Catherine Emmerich

Martyrs, FRA, CAN, 2008
Regia e Sceneggiatura: Pascal Laugier


Categorie Cinema e Tv, Film, Good Cinema Vision from Kasabake

59 pensieri riguardo “Umana Santità e Satanica Divinità: gli ossìmori di Mel Gibson

  1. È sempre entusiasmante leggerti, la tua cultura da quasi cineasta è davvero infinita e questa volta ho potuto constatare ancor di più le tue capacità poichè il film The Passion of the Crist è un film che ho visto e difatti un film pieno di significati che jon mi ha per niente lasciata indifferente ma anzi, mi ha fatto mokto riflettere eccome!!! Per concludere caro Kasabake e cara Silvia vi auguro una serena Pasqua e Pasquetta in compagnia di coloro che amate e tenete sempre nel vostro cuore ❤🥰

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    1. Whao, Giusy! Che complimentoni che mi hai rivolto, davvero!
      Sono davvero felice del tuo gradimento, specie perché l’argomento era tutto meno che semplice o glamour… Quindi onore anche a te per la tua voglia di metterti all’ascolto delle mie esternazioni!!!
      Ovviamente ricambio con tutto cuore i tuoi auguri!

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    2. Grazie mille e tanti cari Auguri anche a te e ai tuoi cari 🙂

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  2. Scusa il ritardo amico mio ma mi sono fermata solo ora, post è davvero fantastico e amo molto Gibson sia come attore e ancor di più come regista proprio per la sua capacità di mettersi in discussione.
    Questi film ne sono un’evidente prova.
    Buona serata, per gli auguri ci sentiamo domani 👍

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    1. Ma scherzi? Sapevo quanto fossi impegnata oggi e sinceramente non pensavo nemmeno che saresti passata dal post!
      Grazie ovviamente del tuo apprezzamento!
      A domani per gli auguri!

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      1. Ho avuto l’occasione di rivedere The Passion proprio ieri sera e devo dire, che dopo le tue spiegazioni, la visione diventa più attenta a certi particolari e si può godere appieno di tutti gli aspetti di questo fantastico film, che a volte può sembrare molto crudo, ma molto più vicino alla realtà delle cose e che quindi, rende più credibile il tutto, più a portata di tutti indipendentemente dal fatto di credere oppure no. Grazie amico mio e buon Lunedì dell’Angelo 😉

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        1. Ti ringrazio particolarmente per questa aggiunta di commento, perché mi da modo, con te come con chiunque ci stia leggendo, di puntualiizare un aspetto essenziale: per me non ha alcuna valenza liturgica o religiosa o ecclesiale il film di Gibson (anche se ovviamente il suo scopo era proprio quello di diffondere la
          Storia di Cristo), ma solo narrativo…
          Io mi sono a suo tempo messo e mi metto ogni volta di fronte a The Passion con lo stesso spirito con cui mi metto di fronte ad un film propagandistico come La corazzata Potëmkin o persino come i vari film della regista espressionista Leni Riefenstahl (specializzata nel filmare i ragazzi della gioventù nazista del III Reich ed oggi considerata una delle registe più importanti della storia), ossia il mio è amore per l’arte e per il cinema aldilà del soggetto e The Passion è senza alcun dubbio una grande opera d’arte!
          Vuoi sapere quale è la scena a mio modesto giudizio più potente di tutto il film?
          Praticamente tutti i segmenti con Maria ed in particolare l’umanità oltre il divino con Gibson crea il montaggio alternato tra Maria che osserva il figlio cadere lungo il calvario e sempre Maria che nei flashback osservava con la pietas di una madre umana il figlio cadere da bambino.
          Quello sono momenti altissimi in cui si può essere ferventi cattolici o atei o agnostici o non praticanti o anche musulmani o ebrei o altro ancora ma che parlano una lingua universale.
          Tra l’altro ho omesso tutta una miriade di particolari legati alla produzione del film, specie quelli pazzeschi riguardanti il clima incredibile che si respirava sul set, con il cast che di fatto viveva in tende nella location desertica, alimentata solo con cibi locali e popolari è costretta da Gibson a dover sopportare in continuazione dei gruppi di giovani del luogo che passavano per le tende recitando ad alta voce passi dei vangeli in latino antico, in un clima da monastero di clausura…
          Per non parlare delle consulenZe linguistiche, con il latino parlato dai romani, molto formale ed imperiale, di contro a quello dei sacerdoti del tempio che era invece sgrammaticato, zoppicante e volutamente pieno di errori…
          Un film comunque lo si veda epocale…

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  3. Splendido, che altro posso dire! Davvero un excursus completo e anche di facile e piacevole lettura, su un regista che personalmente adoro. Approfitto per farti gli auguri di una serena Pasqua, e ancora grazie per questa bellissima condivisione.

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    1. Sono molto colpito dai tuoi complimenti, soprattutto per aver definito il mio post di facile lettura, perché ho sempre paura di essere frainteso, specie quando indulgo in locuzioni linguistiche a cui sono affezionato ma non sempre immediate… Perciò doppio grazie!!
      Grazie per gli auguri!!!

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      1. No, anzi usi un linguaggio, secondo me, molto chiaro e comprensibile, e laddove può esserci qualche difficoltà, lo spieghi sempre molto bene.

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        1. Adesso mi hai davvero fatto un grandissimo regalo!! 😊😊😊
          Adesso smetto di gongolare e ti auguro una bellissima serata!

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  4. Fantastico articolo!!! Adoro Mel Gibson! 😉🤗 Tantissimi cari auguri! ❤️

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    1. Grazie Giada! Gibson è davvero fantastico!!
      Ti ringrazio moltissimo anche per gli auguri!!

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      1. 🤗🥰❤️

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  5. Bellissimo post, 👍👍👍! Tanti auguri di Buona Pasqua e Buona Pasquetta a te, 🐣🌼😃.

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    1. Grazie moltissimo Eleonora, di nuovo auguri!!!

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  6. Ho letto il post tutto d’un fiato e ne è valsa la pena, complimenti per la preparazione, non deve essere stato facile scriverlo, anche se lo stile risulta scorrevole e ti invita a leggere attentamente tutto, fino in fondo. Grazie e buona Pasqua a voi!

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    1. Ma grazie di cuore!
      È davvero molto bello ciò che mi hai scritto, vuol dire molto per me: adoro scrivere questi post e di contro la mia paura è di annoiare, perciò leggere quanto mi hai scritto mi ha dato una grande soddisfazione!
      Buona serata e buone feste!

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      1. È stato un vero piacere, grazie di cuore a te. Le tue parole sprigionano una grande passione, che promana dal testo e non puoi fare a meno di leggerlo tutto di un fiato. Complimenti davvero meritati, buona serata, buone feste!
        Un caro saluto 👋

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        1. Okay, mi arrendo! Mi hai letteralmente conquistata con questi bellissimi complimenti!
          Molto, davvero molto obbligato!
          Buone feste!

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          1. Mi fa solo piacere! Grazie, a presto!
            Buone feste!

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  7. L'albero di zenzero 16 Apr 2022 — 21:54

    Ovviamente non potevo perdermi il post che questa settimana toccava a te. Tu e sist siete la mia gradita tappa settimanale irrinunciabile. Che post Kasabake, bellissimo e intenso visti i temi trattati. Gibson è straordinario mi piace tanto. Bello bello Kasabake, cari auguri di giorni sereni.

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    1. Grazie Paola, grazie sul serio e pensa che sono stato perplesso fino all’ultimo se postarlo o meno, proprio per via dell’intensità dell’argomento come hai giustamente scritto…
      Poi mi sono detto che in fondo, avendo io provato un grande piacere nello scriverlo, era bello poterlo condividere anche se fosse risultato ostico…
      Perciò, felicissimo che ti sia oltretutto piaciuto!
      Pace e serenità anche a te!

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      1. L'albero di zenzero 16 Apr 2022 — 22:03

        Hai fatto bene io amo molto queste immersioni

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  8. Martyrs rappresenta il top dell’ horror visionario. Visto più volte e continua a spiazzarmi.

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    1. Chiunque apprezzi un film duro, spietato eppure profondo e spiazzante come il capolavoro di Pascal Laugier dimostra di aver comunque speso parte del suo tempo nell’aver voluto nel tempo costruirsi un gusto ed una predisposizione all’ accoglimento dell’arte visiva…
      Parliamo di un apripista, successivamente ripreso ed imitato da epigoni spesso interessati solo agli aspetti sensazionalistici e comunque, a differenza di Martyrs, sempre compiacenti con una morale assolutoria e pacificatrice, senza gli strappi etici e religiosi del film di Laugier.
      Non è spesso solo una questione di gusto e di cultura artistica ma anche di adagiarsi talora in comode visioni, tali da farci respingere qualcosa che semplicemente non comprendiamo, come, ad esempio, è capitato persino ad un grandissimo regista come Nanni Moretti che, per sua stessa ammissione, non è riuscito a capire l’entusiasmo dei suoi colleghi di giuria quando a Cannes è stato premiato un film controverso come Titane…
      Perciò, Vittorio, ancora grazie, ancora auguri ed ancora complimenti!

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      1. Auguri e buona festa

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  9. Come al solito analisi molto interessante, io non avevo mai pensato a ossimoro in questi termini.
    Vero è che personalmente faccio molta fatica a metabolizzare la violenza, seppure si tratti di finzione, e il mio dover gestire me stessa mi impedisce di vedere al di là.
    Grazie.

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    1. Stimatissima Claudia, in realtà capisco benissimo la tua difficoltà a superare un evidente idiosincrasia nei confronti della violenza esibita e questo anche quando, culturalmente e razionalmente, ne riconosci benissimo sia il significato sia la assoluta artificiosità: lo capisco perché non sei né la prima ne l’ultima persona ad avere questo tipo di blocco ed a questo proposito voglio citare una delle blogger più autorevoli nel campo del cinema horror (se non la migliore blogger in assoluto comunque senz’altro una delle prime tre), amica carissima il cui nome tacerò per ragioni di privacy (avendo confidato solo ad un ristretto gruppo di persone la sua idiosincrasia), la quale, pur non avendo alcun problema a guardare e recensire film di violenza estrema, gore, splatter o body-horror normalmente inguardabili, non riesce a guardare un qualsiasi film in cui ci siano scene di violenza nei confronti di cuccioli di cane o di gatto…
      Come dicevamo, la tua come la sua, non sono idiosincrasie razionali ma emotive e come tali vanno assolutamente rispettate, così che il nostro “eroismo” vada riservato per cose ben più importanti che non guardare un film o una serie televisiva!

      Non ti nascondo che, ben conoscendo l’insistita esibizione della violenza (con dettagli pornografici) di Gibson, ho appositamente scelto l’immagine di copertina, proprio per rimarcare l’artificiosità dell’effetto speciale, mettendo un Cristo sanguinante comodamente seduto a fianco del regista…

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      1. GRAZIE per la comprensione e per l’aneddoto sulla tua amica blogger che mi fa sentire meno assurda.
        In effetti è proprio una questione di testa: nel caso di film splatter, che sinceramente non amo granché, ho più chiara l’idea di finzione, quindi non mi scompongo granché, ma se penso alla sofferenza, alla tortura, addirittura preannunciata con dovizie di particolari, io patisco e poi quelle sensazioni mi rimangono per lunghissimo tempo.
        Questo è anche il motivo per cui ad esempio tendo anche ad evitare i film di guerra,: li rifuggo perché la finzione si basa su terribili realtà.
        E la stessa cosa mi accade anche nei confronti degli animali.

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        1. È molto più comune di quanto tu non creda ed il paragone che hai fatto poi è giustissimo: la violenza vera (compresa la sua rappresentazione scenica) delle guerre, dei serial killer, del sadismo degli stupratori e similia è infinitamente più sconvolgente di tantissimo splatter talmente esagerato da essere quasi avulso dalla realtà e quindi paradossalmente meno minaccioso!
          Buona serata!

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  10. leggerti è sempre un piacere perché con dovizia di dettagli spieghi quello che lo spettatore vede sullo schermo. Per chi come me non frequenta le sale o il video può attraverso le tue parole vedere quello che avrei visto davanti allo schermo.
    Spiegazioni chiare ed esaurienti per nulla saccenti, anzi tutt’altro. La tua cultura e il tuo modo di scrivere coinvolge sempre il lettore e io non non sono da meno.
    Complimenti per questo post in tema con la Pasqua. Tanti auguri

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    1. Che grande gioia sentire questo!
      Non penso ci sia una soddisfazione più grande, per chi come me ha scritto un testo in cui vuole condividere o spiegare agli altri un suo punto di vista, che non quello che hai detto tu nei miei confronti!
      Grazie Bear, mi hai fatto davvero un bellissimo regalo di Pasqua!
      Grazie ancora e tanti auguri anche per la giornata di domani!

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      1. grazie per gli auguri e spero sia stata una serena giornata quella di oggi

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        1. Assolutamente si! Grazie di tutto!

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  11. Hai scritto un post molto profondo e ben articolato.
    Grazie, Silvia, per aver condiviso con noi il risultato delle tue ricerche
    Buona Pasquetta 🌸🌸🌸

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    1. Ciao Luisa, sempre gentile sia con me che con Silvia!
      Io sono Paolo “Kasabake” ed in realtà questo post su Mel Gibson è mio (se possibile io e Silvia cerchiamo di scrivere a settimane alterne, ora una ora l’altra), ma mi tengo stretti ugualmente i tuoi complimenti!
      Buon pomeriggio di Pasquetta!

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      1. Oh Paolo, come sono stata sbadata!
        Ribadisco l’ammirazione profonda per un post meraviglioso, che mi sono gustata dalla prima parola/immagine/ filmato all’ultimo🙏🙏🙏

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        1. Ah, ah, ah, ci mancherebbe Luisa!
          Anzitutto di nuovo grazie per il tuo apprezzamento al post (che avevi espresso a prescindere) e poi ti svelo un segreto… Quando avevo cominciato a frequentare da pochissimo il blog della Silvia, ci scrivevano assieme lei e la Paola ed io regolarmente facevo i complimenti all’una pensando che fosse l’altra e viceversa!!! Le loro risposte ai miei commenti iniziavano sempre così “Ciao Paolo, sono Silvia” oppure “Ciao Paolo, sono Paola” ed io ogni volta mi scusavo per la sbadataggine…
          Quindi, se pensi di esserti confusa, sappi che in quel campo sei una dilettante 😊

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          1. Ricordo bene quando anche Paola era con voi!
            Buon pomeriggio

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  12. Ciao Paolo piacere di conoscerti grazie a Silvia .
    Bravo a tutto tondo !
    Leggere un post come il tuo è come fare un lungo viaggio, in cui oltre a conoscere meglio Mel Gibson personaggio e persona , decodifico molto meglio i suoi film , qualcosa mi ero persa .
    Martirio ed estasi gli ossimori ! E si .
    I viaggi si intrecciano resta il filo conduttore e giungere in fondo divorandoli perché la scoperta dell’ oltre, inteso nel tempo e nello sviluppo è la chiave di lettura che consente di giungere alla fine ,un poco volando un poco posando lo sguardo sui particolari .
    Sei stato chiarissimo e semplice , sono qualità che non tutti abbiamo …
    Non amo questi film però li ho visti .
    Certi attimi ho abbassato lo sguardo perché la violenza , la tortura e la morte costituiscono una creda realtà . Abbiamo visioni terribili e desolanti nel quotidiano.
    Molto commovente Maria che segue con dolore di mamma il martirio del figlio e ricorda il suo bambino …
    Sono d’accordo sui tratti pornografici delle sofferenze inflitte così messe in primo piano.
    Non ho visto il film del regista francese né lo vedrò . In ultimo Castelfidardo tu, Jesi ,io . Io nonna da 13 anni più volte ,poi . Sono partita dall’Italia per diversi anni , sono rimasta fuori ,poi la vita mi ha riportato nella zona di nascita.
    Buon sabato ☮️

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    1. Ma quanto è bello questo tuo commento, Sossu!
      Molto bello soprattutto perché non piattamente adulatorio ed anzi con degli squisiti distinguo, basati proprio su di una tua dichiarata scarsa adesione agli spettacoli di violenza, specie quando essa sia insistita e pornografica (indipendentemente dal fatto che possa essere strumentale al messaggio artistico o commerciale), giacché talvolta l’arte usa questo strumento della visione scioccante e non è assolutamente obbligatorio che piaccia a tutti!
      È proprio sapendo questo, che anche nel mio blog personale e non solo in quello condiviso con Silvia, ho sempre limitato le recensioni di film che invece hanno proprio nell’orrore e nella violenza la loro ragion d’essere e solo raramente mi permetto di parlarne, ma ancor più raramente trovo commenti intelligenti come il tuo, perciò grazie doppiamente!
      Castelfidardo è splendida ma io in realtà provengo da un borgo assai più piccolo e meno blasonato ovvero la piccola Filottrano, a cavallo tra provincia di Ancona e Macerata, mentre di Jesi ho ricordi dolcissimi, per gli anni trascorsi al Liceo Classico…
      Un saluto caloroso ed anche un po’ venato di nostalgia canaglia…
      Grazie delle bellissime parole nei miei confronti!

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      1. Paolo tu sei gentile .Filottrano , caspita… mi sono sbagliata ! Certo che la conosco, avevo due cari amici , Mina e Franco , lei non c’è più, lui ha una brava compagna con tutto il seguito ed io a Filottrano non capito quasi più .
        I piccoli borghi di collina per lo più sono belli . Alcuni in modo particolare.
        Jesi resta sempre Jesi, sono contenta della dolcezza dei tuoi ricordi , a me pare una bella cittadina, con Palazzi importanti e alcune ricchezze artistiche
        ,mi appassiona il vernacolo jesino .
        Ho frequentato elementari , medie inferiori e superiori tra le mura romane . Poi sono partita …
        Castelfidardo ,la blasonata, in effetti così un po’ è rimasta .
        Una mia figlia ,con la sua famiglia vive ai piedi di Castelfidardo, la parte che guarda a Loreto . Grazie per ciò che mi hai scritto, mi fa piacere . Buona notte

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        1. Come tutte le cose belle ed importanti che hanno segnato la nostra vita e che ci coinvolgono emotivamente nel piacere e nel dolore, anche Filottrano per me è stato un borgo da cui sono letteralmente fuggito via dopo gli studi superiori, pensando di abbandonare una provincialità ristretta e miope che subito dopo le scuole medie ha cominciato a starmi così stretta da soffocarmi, per cercare la libertà di pensiero e di azione della grande città (la Bologna dove ho fatto l’università e dove ho costruito la mia famiglia), ma in realtà stavo scappando dai tristi ricordi di una famiglia segnata da alcuni lutti che hanno sconvolto la mia infanzia come orfano.
          Oggi però torno sempre più spesso con la mente a quei luoghi di gioventù nelle Marche e lo faccio non con senso di frustrazione o sofferenza o rimpianto, ma con molta dolcezza ed è come se con lingua cercassi nella bocca un sapore lontano nel tempo.
          Adesso poi la smetto di fare il saccente e torno con i piedi per terra e ti saluto, scusandomi per la mia logorrea, certo che ci sentiremo più avanti!
          Buona serata e buona domenica!

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  13. Un articolo magnifico a mio avviso e che trovo interessante proprio per come hai trattato la tematica dell’estasi. A mio avviso Martyrs questa tematica la tratta in modo magnifico, con una poesia e una crudeltà incredibile che in pochi posso solo sognare di raggiungere. Amo quel film soprattutto per come sia riuscito a non essere un torture-porn, un rischio enorme per una pellicola simile, ma sia riuscito attraverso la violenza a parlare di tematiche profonde e difficili, mostrando poesia e pessimismo.
    In tutto ciò posso dire una cosa: La Passione di Cristo non mi è mai piaciuto. Perché, al contrario di Martyrs, mi è sempre sembrato un torture-porn con grandi pretese. Alla fine è una pellicola in cui vediamo Gesù torturato senza tregua e attraverso tutta quella violenza io non sono riuscito a vedere il martirio o la fede, ma interminabili sequenze di tortura. In Braveheart invece la questione del martirio era già più sentita, perché non occupava una così ampia parte del film e soprattutto non era incentrato su una violenza estrema e a volte gratuita.

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    1. Quando parlo di cinema con te, va detto, carissimo Butcher, mi tolgo metaforicamente il cappello, perché tu, oltre ad essere da quando ti conosco una persona aperta e senza paraocchi, sei da tanti anni anche un fine degustatore del mezzo cinematografico e qui, in questo confronto tra il film di Laugier è quello di Gibson, ce la giochiamo proprio sullo specifico filmico e sull’amore per il cinema, che in Laugier ha un legame profondo con il suo altissimo valore artistico e concettuale (quindi una ricerca della rappresentazione dell’estasi voluta e messa in scena), mentre in Gibson è al contrario quasi un blasfemo incidente di percorso (qui risiede a mio avviso la sua straordinarietà), come una pennellata tirata quasi per caso o meglio consequenziale ad un conflitto tra la paccottiglia religiosa (tanto cara al nostro cattolico estremista) e le ragioni della bellezza cinematografica.
      Voglio spiegarmi: Martyrs è stato da me inserito in ogni possibile classifica dei più grandi capolavori del cinema, cosa che non farei mai per The Passion, ma altresì il film di Gibson, proprio laddove viene quasi da tutti considerato sbagliato ed eccessivo, si scopre lirico.
      Forse è torture-porn o forse non proprio del tutto, forse la violenza e la tortura in Gibson sono realmente la sua più sincera forma d’arte espressiva, qualcosa in cui probabilmente nemmeno lui vorrebbe riconoscersi.
      Io per esempio salvo del suo film quasi solo i due segmenti di cui ho parlato, quelli dove in genere chiudono gli occhi coloro che nel film cercano invece la dimostrazione delle proprie credenze religiose.
      Chissà!
      Intanto mi tengo stretti i tuoi complimenti e quel tuo superlativo assoluto “magnifico” con cui hai onorato il mio post.
      Grazie di cuore, amico mio!

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      1. Per me è sempre un piacere parlare di cinema con te. Dimostri una conoscenza profonda della settima arte e soprattutto riesci a districarti con maestria davanti a tutte queste pellicole, dimostrando un sincero appassionato che ama parlare dell’argomento ed è sempre aperto al dialogo e alla discussione. Stammi bene, amico mio!

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