Vivere per la scrittura

Io non sono un vero scrittore.
Sono contento di poter fare questa affermazione, proprio adesso, a pochi giorni dal riconoscimento ottenuto con il mio racconto Da solo contro il vento, risultato vincitore del Crom Award 2022, il surreale concorso letterario indetto ogni anno da Gianni Gregoroni sul suo blog ilperdilibri.

Ideato ed apparecchiato annualmente dallo scrittore Gianni Gregoroni, il Crom Award è un contest letterario che vuole omaggiare il fantasy nelle sue declinazioni più letterariamente inclusive possibili, accogliendo senza ritegno opere che oscillano dalla sci-fi più avanguardista allo sword & sorcery più classico, in cui non si vince alcun premio in denaro o coppe di cristallo ed oro, ma solo fama imperitura ed eterna riconoscenza da parte di un Dio irriconoscente.

Non fraintendetemi, io sono ovviamente felicissimo che il mio piccolo componimento abbia ricevuto un così grande apprezzamento, oltretutto da parte di persone che stimo moltissimo qui su WordPress, alcune addirittura amiche ed altre invece non ancora definibili tali, perchè di più recente frequentazione, ma con le quali tuttavia molto spesso scambio ugualmente gradevolissimi commenti sotto ai vari post e quindi ringrazio di cuore tutti coloro che hanno votato per me, ma contemporaneamente sono troppo amante della Letteratura nel senso più ampio del termine per perdere la ghiotta occasione di poter pontificare e sputare sentenze su tutti coloro che pensano di essere veri scrittori quando non lo sono, nel modo più categorico, come appunto nemmeno io sono, ma che per lo meno non mi definisco tale.

Louis Ferdinand Auguste Destouches, in arte Louis-Ferdinand Céline (dal cognome della nonna materna Céline Guillou, unica figura positiva dell’infanzia dello scrittore, vissuta tra ristrettezze economiche e crisi depressive paterne), trascorse di fatto il resto della sua vita di adulto quale reduce di guerra, semi-invalido per le ferite alle braccia e tormentato da lesioni cerebrali e dagli esiti di operazioni chirurgiche ai limiti della tortura (come era allora la non ancora sviluppata neurochirurgia) e tradusse tutta la sua disillusione verso la classe medica ed il potere rampante ed opprimente del nascente capitalismo in una serie di romanzi scritti tra le due guerre mondiali, che rivoluzionarono la stessa letteratura europea, al netto dei contemporanei deliri saggistici, con tre suoi pamphlet intrisi di un antisemitismo ed un antiebraismo così potente e così “scientifico” da venire spesso osteggiati dagli stessi francesi collaborazionisti del nazisti.

A scanso di facili fraintendimenti, vi dico subito che a mio modesto giudizio ciò che contraddistingue un vero scrittore non è banalmente la sua appartenenza ad una categoria professionale (ovvero il suo  essere sempre in giro per i corridoi delle varie case editrici, costantemente a colloquio con editor o curatori redazionali, indaffarato in una forma di presenzialismo culturale a metà tra l’opportunismo bieco ed il marketing), così come non è nemmeno determinante in senso assoluto la quantità di tempo che ogni giorno egli dedica all’attività dello scrivere (dato che questo non dipende solo dalla sua cocciuta passione, ma è legato anche ad altri fattori, come il tenore di vita familiare e lavorativo, che possono rendere possibile o meno un eventuale dedicarsi completamente alla scrittura).

Un autore come Charles Bukowski, dopo un’infanzia da lui stesso definita un film horror, picchiato a sangue dal padre tre volte alla settimana con una cinghia da barbiere, divise tutta la sua vita di adolescente e di adulto tra il lavoro come carpentiere prima e di archivista poi, scrivendo poesie e racconti ogni volta che nel tempo libero il suo cervello si riprendeva dalle continue sbronze, ma poi, una volta affermatosi come scrittore, accettò di vivere solo di un magro vitalizio datogli dal suo editore, passando il resto della sua vita scrivendo e bevendo, finché a 73 anni una leucemia fulminante riuscì in quello in cui prima di essa aveva fallito la tubercolosi.

Quello che invece io sono convinto possa definire qualcuno un vero scrittore è piuttosto il suo mettere davanti a tutti e tutto la sua voglia di raccontare al pubblico storie, idee ed emozioni, lasciando il resto della sua vita in secondo piano o magari usandolo per le sue creazioni, andando a dormire la sera pensando a come trasformare in scrittura i propri pensieri, i sogni, le paure ed anche le debolezze, svegliandosi la mattina non vedendo l’ora di fissare immediatamente ciò che durante la notte il proprio inconscio ha elaborato, trascorrendo le pause pranzo e persino il tempo passato in bagno a riordinare mentalmente idee semplicemente abbozzate per poi trasformarle in frasi e periodi di senso compiuto: insomma, per me essere uno scrittore vero significa vivere la propria intera vita pensando alla scrittura e nulla più.

Truman Streckfus Persons, in arte Truman Capote (dal cognome del patrigno, scelto in segno di disprezzo verso la madre), passò la sua infanzia nel buio degli stanzini d’albergo dove la mamma lo rinchiudeva durante i suoi incontri amorosi clandestini con i suoi tanti amanti, circondato dalla dabbenaggine del padre e bullizzato dai compagni di classe per via del suo orientamento sessuale effemminato e caotico oltre che privo ancora di una vera determinazione, finché la sua vena letteraria non lo pose sotto ai riflettori di una New York che ne fu conquistata e che non smise di amarlo malgrado lui facesse di tutto per odiarla e deriderla: dopo aver conquistato la stima e l’amicizia del jet set con la sua arguzia ed intelligenza narrativa, riuscì alla fine a farsi ostracizzare da quasi tutti i suoi ricchissimi amici, grazie alla feroce condanna che, nelle pagine del suo ultimo romanzo rimasto incompiuto, portò a quell’enclave di ricchi e famosi che lo aveva posto sul piedistallo più alto, morendo in solitudine, scegliendo dal mazzo delle carte selvagge delle varie dipendenze chimiche ed alcoliche, l’asso vincente di una cirrosi epatica.

Forse potreste trovare tutto questo come una idealizzazione troppo romantica del concetto stesso di artista e magari anche un po’ retrò, ma io sono convinto che sia semplicemente la pura verità, giacché fuori da questo atteggiamento quasi ossessivo e certamente fideistico ci sono solo gli scrittori di circostanza ed i pennivendoli: i primi che pensano di poter dare alla luce il romanzo della vita o il raccontino sensazionalistico senza sforzarsi troppo, scrivendo in un ritaglio di tempo, senza angustiarsi per la forma involuta della loro prosa, pensando di essere dei geni incompresi, anche quando magari qualcuno più esperto fa loro notare che quanto hanno scritto è brutto o nella migliore delle ipotesi terribilmente già visto se non addirittura copiato; i secondi, invece, infinitamente più deprecabili degli altri, sono individui che costruiscono libri come risultato di un calcolo strategico sulla loro immagine pubblica.

Quando entro in una qualsiasi libreria, davvero mi chiedo immancabilmente come sia possibile che vengano spesi soldi per dare alla stampa centinaia di libri la cui utilità è senza alcun dubbio inferiore a quella di un calendario da barbiere del primo dopoguerra e più offensivi intellettualmente di qualsiasi sfruttamento del corpo nudo maschile e femminile in riviste per gay ed etero: volumi enormi, con sovraccoperta plastificata in cui baroni televisivi o giullari asserviti vendono le loro povere parole a caro prezzo.

Purtroppo le opere di questo vastissimo gruppo sono la maggior parte dei libri che ogni settimana fanno bella mostra di sé sugli scaffali delle novità nelle tante librerie, con donne ed uomini di spettacolo o famosi sportivi che strizzano l’occhio da una copertina patinata, dopo aver assoldato dei ghost writer per raccogliere aneddoti di vita personale per sollazzare i fan oppure ancora peggio, moralmente parlando, quei furbi giornalisti che vogliono cavalcare un fenomeno del momento con un loro inutile saggio contenente inutili soluzioni ad un problema che altri risolveranno senza di loro: infine abbiamo quella sciagura culturale ed editoriale dei tanti piccoli produttori di libri mutuati dal mondo del business, che pensano di vendere una pretesa ricetta di successo per le vite miserande di quei lettori i quali, come unico risultato, tireranno fuori soldi per rendere ancora più ricchi questi parassiti culturali.

L’incredibile successo di vendite dei libri scritti dai vari infleuncer e content creator provenienti dal mondo dei social network è ovviamente strettamente collegato al numero dei follower che gli stessi hanno nelle loro pagine Instagram, Twitter o TikTok (soprattutto il primo) e non ha chiaramente nulla a che fare con il contenuto espresso (glamour sulla loro vita coniugale, ricette di cucina, trucchi di bellezza o consigli di gioco nel caso dei gamer), quanto, nella migliore delle ipotesi, con la forma espressiva, veloce e piena di riferimenti ai sottocodici linguistici del web, tale che i giovani che acquistano questi libri è come se avessero l’illusione di una prosecuzione della loro esperienza in internet: non è tanto la bolla di marketing che questo fenomeno comporta e che spinge oggi sempre più editori a tirare giù le brache ed a pubblicarli, quanto di quei genitori che li comprano on line o nelle librerie dei supermercati, illudendosi che la lettura di questi libri possa allontanare anche solo per un po’ i loro figli dal PC o dallo smartphone, con la chimera speranzosa che in fondo anche quella è sempre pur narrativa, quindi una cosa buona nell’ottica ristretta di un boomer che non vede aldilà del suo naso, mentre non stanno facendo altro che tenere questi adolescenti sempre più prigionieri della loro bolla di filtraggio (d’altronde offrire ai figli delle alternative è difficile per un genitore, perché richiede concentrazione e dispendio di energia ed intellettuale… Sia mai!).   

In confronto a questi artefici di fuffa ben impaginata e stampata, c’è una incalcolabile maggiore dignità in quell’esercito di ragazze e ragazzi che ogni giorno, grazie a piattaforme di scrittura e pubblicazione online gratuite, cercano con commovente sincerità di condividere il proprio animo con il resto del mondo, incredibilmente pronti ad accogliere consigli, disposti a piegarsi ad esigenze editoriali che non trasformino realmente la freccia semantica di ciò che vogliono trasmettere ma che li rendano solo più pubblicabili e visibili: sono tutti giovanissimi autori, indipendenti e pieni di voglia di raccontare, speranzosi, modesti, scrupolosi a cui andrebbe davvero data maggiore visibilità.

Un esempio che vi suggerisco, tra le migliaia di giovani menti che invadono il web con i loro scritti, è quello di Shiki Tima Ryougi (al secolo Cecilia Maria Cimmino, come pubblicamente riportato nell’indirizzo mail presente sul blog di WordPress My Mad Dreams, dove ha pubblicato alcuni capitoli del suo romanzo Spiral), estremamente capace, con una prosa in grado di esporre insospettabili introspezioni davvero affascinanti, di cui è possibile trovarne golosa campionatura anche sulla piattaforma di Wattpad.

In una società più giusta e meno retrograda della nostra, quei giovani scrittori di cui ho parlato sopra sarebbero la linfa vitale per rinnovare davvero la nostra letteratura ed anche la migliore medicina per sconfiggere per sempre lo spettro canceroso del provincialismo e dell’autoreferenzialità che strozza da decenni la letteratura italiana, come quella delle Terrazze Martini e dei Premi Strega, distanti dal mondo reale, fatte solo di nostalgia storica ed opportunismo piacione, con romanzi scritti dai soliti noti e sponsorizzati dagli amici che contano, senza escludere quelli di autori dell’ultima ora, dalla spendibile notorietà di ascendenza televisiva o internettara, ammiccante e ruffiana.

Ogni anno si affaccia ai confini delle librerie un vero esercito di libri pseudo-storici (in cui furbi studiosi, svenduti al glamour letterario, giocano con personaggi del passato remoto dall’indubbio carisma, per ricamarci attorno storie dal sapore appiccicoso come zucchero filato) e tanti, troppi, libri pieni di storie ambientate nella prima metà del nostro novecento, rigorosamente familiari e spesso minime, con sullo sfondo la denuncia del ventennio fascista portata con il coraggio di chi osa colpire un coccodrillo imbalsamato, inframezzate da desolanti avventure di altoborghesi borderline, pieni di conflitti squisitamente lontani dal mondo reale.

Per uno scrittore che possa davvero definirsi tale, ogni sua esperienza, passata e presente, diventa quindi materia per lo scrivere, attraverso continue riflessioni, congetture, rielaborazioni del proprio vissuto e proiezioni nel futuro ed è stato proprio con questo spirito che un giovane statunitense come Jack Kerouac, ad un certo punto della sua vita, scelse di fermarsi nel suo girovagare raccogliendo i 1000 pensieri e le 1000 cronache di un viaggio dentro l’America, catalogando le tante facce di quella nazione in un libro simbolo della sua generazione come On The Road, pieno della disperazione, del dolore, della gioia e della rabbia che erano la voglia di vivere e di gridare di tutti i suoi coetanei.

La saggista e critica letteraria Holly George-Warren, parlando di Jack Kerouac scrisse «Ha esplorato apertamente gender, sessualità e queerness nel suo lavoro in un periodo in cui farlo era molto raro ed ha scritto con profonda empatia sulle persone emarginate», perché Kerouac, prima di diventare un’icona anti-establishment ed essere indicato da tutti come pioniere della Beat Generation ed intramontabile simbolo di coolness, era soprattutto un giocatore di football di talento, bello ed aitante, figlio di immigrati cattolici della classe operaia del Québec, analfabeta in lingua inglese fino all’età di sei anni, che aveva lottato per la maggior parte della sua adolescenza per farsi valere: rileggere il suo capolavoro On The Road da questa prospettiva di vita emarginata spiega moltissimo, compreso la sua mancata digestione dello straordinario successo editoriale e non a caso, malgrado fosse sempre descritto come uno spirito libero, Kerouac praticava una vita monastica, quasi solo in compagnia di sua madre e del gatto persiano Tyke, fino alla sua morte nel 1969 a soli 47 anni dopo più di dieci anni di alcolismo forsennato.

Chi mi legge e mi conosce bene sa che potrei continuare a parlare per ore, scrivendo di tantissimi altri romanzieri, poeti e scrittori di teatro la cui vita collimerebbe perfettamente con quel concetto, da me espresso in questo post, di una vita dedita alla scrittura, tuttavia, anche se gli esempi fin qui da me portati potrebbero suggerire come solo un’esistenza da emarginato si abbini all’essere un vero scrittore, non è in realtà ciò che intendo: io penso che molto più specificatamente quello che muove davvero l’animo creativo dei veri artisti letterari sia una forma di ossessione, uno squilibrio verso una divisione parossistica ed eccessiva nella valutazione di ogni loro priorità, che li domina e li spinge a considerare di secondaria importanza tutto ciò che non sia una loro creazione.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uomo colto, agiato ed aristocratico, tanto da potersi fregiare del titolo di Principe di Lampedusa, scrisse un unico romanzo (in mezzo ad un nugolo di saggi e racconti, che non diede mai alle stampe finché fu in vita), regalando ai posteri un capolavoro assoluto della letteratura italiana ed anche un insospettabile caso editoriale senza precedenti: nessun editore, infatti, volle inizialmente pubblicare Il Gattopardo e quando nel 1957 il suo autore morì di tumore ai polmoni, era circondato solo dalla sua solitudine (amava di più stare con le cose che con le persone) e dalla tristezza dei tantissimi rifiuti ricevuti, ma ad un anno dalla sua morte lo scrittore Giorgio Bassani fece pressioni perché il romanzo venisse finalmente pubblicato ed uscì per i tipi de La Feltrinelli, trasformandosi rapidamente in un successo di vendite inarrestabile, senza uscire mai davvero di catalogo, distribuito anche come libro scolastico.

In sintesi, un vero scrittore, così come un pittore o uno scultore o un musicista o un regista o un coreografo o qualsiasi altra cosa rappresenti il fare arte, è una persona che vive il suo rapporto con gli altri e con il mondo in modo disarmonico, per via della sproporzione nella sua sfera emotiva tra la parte creativa (con cui crea le sue opere) e quella logica ed affettiva (con cui gestisce la realtà che lo circonda): si tratta del medesimo eccesso a cui si costringono gli atleti olimpici, che non fanno semplicemente allenamento e non si tengono soltanto in perfetta forma fisica, ma che sottopongono volontariamente e sistematicamente il proprio corpo ad uno stress altrimenti nocivo per qualsiasi altro essere umano, fuori da ogni scala di comportamento, ma solo questo diventare eccessivi permette loro di raggiungere i primati che vediamo nello sport.

Quello raccontato in questo post era ovviamente solo il mio pensiero, mutuato da decenni di letture e qualche anno di studi, nonché dalla mia passione per cercare di vedere sempre il più possibile al di là di un’opera d’arte, spesso trovando dolore dietro un sorriso descritto o la storia di un ricordo represso ed infine resuscitato dietro del pain grillé ovvero del semplice pane tostato, spalmato di miele e da inzuppare nel tè, che negli anni è divenuto in mano ad un autore come Proust una più elegante madeleine, ugualmente piena del burro della nostalgia.

Buona serata e buone letture!

Categorie Narrativa

61 pensieri riguardo “Vivere per la scrittura

  1. Non sono un’esperta di letteratura, quindi non so se tu abbia ragione, quello che posso invece dire è chi è per me uno scrittore. Per me un vero scrittore è chi riesce a tramutare in parole le emozioni, i sentimenti, l’amore, i dubbi, le paure e i timori di ognuno di noi. Personalmente non mi interessa che la scrittura sia corretta e “pulita” come si usa dire, quello che mi importa è che sappia suscitare emozioni, che coinvolga e arrivi diretta al cuore, questo per me è uno scrittore e per questo non sono d’accordo con te perché tu, tutto questo, lo fai sempre ogni volta che scrivi. Purtroppo ti manca solo il tempo per poterlo fare in maniera adeguata ma questo è un altro discorso. Buona serata amico mio!

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    1. Ti ringrazio Silvia, perché so che lo pensi davvero e questo tuo è un bellissimo complimento!!

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      1. So che lo sai, ne abbiamo parlato tante volte 😉

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    2. Completamente d’accordo con Silvia 💙💙💙

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      1. Grazie anche Luisa!
        Buona serata e buon week-end, Sweet Lucy!

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        1. Buona serata e buon weekend anche a te 💙❤️💙

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  2. 𝑃𝐴𝑂𝐿𝐴 𝑃𝐼𝑂𝐿𝐸𝑇𝑇𝐼 26 Nov 2022 — 19:33

    Sono d’accordo con te su tutta la linea e come dice Sist, è tutta questione di emozioni. Leggo tante cose di sconosciuti e tante di noti…. Quello che mi resta conta, il resto cestino. Tu scrivi nooooooolto bene, e ti capisco. Spesso chi scrive moooolto bene…..non lo capisco perché cerca la forma incasinando tutto😃😃😃😃

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    1. Sembra strano ma sei poetica anche nei commenti, Paola!
      Che poi è quello che sotto sotto intendevo con il mio post…
      Dietro la mia descrizione dello specchio oscuro, in cui si nasconde il riflesso di quella vita di eccessi (spesso non richiesti) che genera poi la meraviglia di una vita artistica eccessiva, c’è molto di quello che ci scambiamo nelle nostre chiacchiere private (chiacchiere “di livello”, direbbe qualcuno… chiacchiere in barrique!).
      Grazie della tua stima!

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      1. 𝑃𝐴𝑂𝐿𝐴 𝑃𝐼𝑂𝐿𝐸𝑇𝑇𝐼 26 Nov 2022 — 20:25

        Hai ragione!!!! E ti ringrazio ovviamente

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  3. Ancor prima del cinema, il mio primo vero amore verso l’arte si rivolse proprio alla letteratura. Inizialmente era legato ai miti greci e alla letteratura fantasy. Riuscivano a coinvolgermi proprio per quelle storie, per quei personaggi, per lo svolgimento della trama ma anche per come riuscissero a farti percepire vari emozioni attraverso l’uso della parole, qualcosa che non tutti possono fare. La scrittura è un’arte ma ciò che amo di più sono quegli autori e scrittore che riescono a farti percepire delle emozioni attraverso i loro scritti, che ti fanno immedesimare nelle loro storie. Anch’io rimango sconvolto da quei libri usa e getta che vengono pubblicati fin troppo spesso nelle librerie e di cui pochi ricordano qualcosa, libri pubblicati perché si segue un certo trend (tipo il calcio) o perché scritti da persone influenti (a volte persone del mondo dello spettacolo che lasciano il compito di scrivere a qualcun altro). A volte non apprezzo neanche quei libri in cui lo scrittore si concentra molto di più sullo stile letterario che sulla storia. Ho letto libri, alcuni dei quali hanno partecipato o vinto il Premio Strega per esempio, scritti in maniera eccellente, un metodo di scrittura che io posso solo sognare di raggiungere, ma che purtroppo non mi hanno trasmesso nulla e che mi sono sembrati perfino vuoti. Quindi riuscire a essere uno scrittore capace di equilibrare una buona scrittura con una storia ricca di sentimenti ed emozioni non è per nulla semplice.
    Ti ringrazio molto per aver parlato così bene di Shiki. Lei sa scrivere veramente bene e, attraverso le sue parole, riesco ogni volta a sentire forte emozioni specialmente legati ai suoi personaggi. In pochissime righe riesce a parlare di tantissime cose e anche questa è una cosa che in pochi possono fare.
    Grazie ancora, amico mio!

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    1. Mamma mia che bel commento, Burcher!!
      Quasi un addendum al mio stesso post, perché la tua passione di lettore (per chi non ti conoscesse, si sappia, che fosse anche solo un quarto di quella che hai per il cinema sarebbe comunque sempre enorme) ti ha fatto specificare in poche righe ciò che io con la mia logorrea ho impiegato un intero post per dire!!!
      Tra l’altro (ed è una cosa bellissima quando accade) tutti coloro che hanno commentato fino ad ora hanno avuto come denominatore comune il concetto che saper scrivere significa saper comunicare qualcosa (sentimenti, emozioni, atmosfere) ancor più della semplice forma perfetta…
      Se si trasporta questo concetto al cinema, la regola funziona perfettamente, magari con più complessità, perché quello cinematografico è un linguaggio molto evoluto e moderno e spesso chi non è allenato alla visione di certi autori (come Refn o Eggers o Guadagnino) può scambiare la loro estetica per pura ricerca formale quando non assolutamente così, ma questa è un’altra storia…
      La citazione del lavoro di Shiki è infine legata a fil doppio a tutti questi nostri discorsi (il mio, il tuo, quello di Paola, Silvia, Lucia etc.), perché Shiki nelle sue opere (in tutte le sue opere) ha proprio questa straordinaria capacità di teletrasporti dentro il cuore del cuore della narrazione, con tutto il disagio, la paura o al contrario la speranza che viene descritta nello storytelling anche quando esso non sia biografico o lo sia metaforicamente tale.
      Buona serata, amico mio, estendendo l’augurio ovviamente anche a Shiki!!

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  4. Io francamente ti confesso che sono rimasta un po’ perplessa per questo tuo post. Perché si deve sempre cercare di classificare tutto, del tipo, sono uno scrittore, non lo sono, mi ritengo tale? È già difficile capire che cosa passi per la testa a me stessa, perché preoccuparmi di quello che pensa un altro?
    Sai che ti apprezzo moltissimo, non ne ho mai fatto mistero, non vedo perché andare a specificare altro. L’importante, come ha scritto giustamente Silvia, è quello che ci arriva. Personalmente mi può arrivare più quello che scrivi tu, a prescindere dalle classificazioni, di quello che ha scritto un grandissimo scrittore che ha fatto epoca e magari a me non ha trasmesso nulla. Forse perché non ha destato il mio interesse o magari perché non l’ho capito, ci può stare, o forse perché non mi piace il genere. Una persona può avere uno stile pulito e non trasmettere nulla. Tu, invece, ci hai sempre fatto battere il cuore e sarò onesta, anche a costo di risultare impopolare, ho apprezzato tantissimo l’essenzialità del tuo bellissimo racconto, Da solo contro il vento, perché generalmente non sei molto essenziale, eppure hai tanto da dire e da esprimere e mi piace.
    Io la vedo così molto onestamente.
    Val

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    1. Grazie Val, davvero…
      In realtà poi io e te non sosteniamo cose diverse e come leggerai nei commenti siamo tutti d’accordo nel trovare il vero significato di essere uno scrittore nella sua capacità di esprimere emozioni e sensazioni…
      Ti dirò di più: come ho specificato in modo netto all’inizio del post, io non definisco una persona come “vero scrittore” per la sua appartenenza o meno ad un ordine professionale o ad una speciale categoria, ma lo definisco per la sua sincera devozione verso la scrittura…

      In pratica, a mio modesto giudizio, quella capacità di far provare qualcosa ai propri lettori (quell’empatizzare, quel ridere o piangere assieme o anche solo quel riflettere su quanto si è letto) non è semplicemente una scelta che chi scrive sceglie di fare, come un pulsante che può decidere di premere o meno (come magari vorrebbero chi finge di essere un vero scrittore), no, ma è qualcosa che scatta quando in chi scrive c’è una vera devozione verso ciò che scrive: il lettore percepisce quell’atteggiamento e di fatto quell’eccesso (quel dare priorità) che porta una persona dall’essere solo qualcuno che scrive e basta a diventare un narratore a tutto tondo.
      Insomma, io premio chi quando scrive ride o piange insieme ai suoi lettori e disprezzo chi pensa che tutto questo si possa ottenere solo a tavolino.
      Spero di essermi spiegato meglio, Val e grazie sempre per la tua benevolenza e stima per me!!

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      1. Sono molto contenta della tua risposta. Infatti non siamo in disaccordo. Pur nell’ambito di blog molto diversi, abbiamo sempre trovato comunanza di intenti. Ho molto rispetto per il tuo lavoro e mi piace il tuo stile. Come avrai sicuramente capito, la mia non era una critica. Con molta onestà, ti ho sottoposto il mio punto di vista e quando c’è rispetto reciproco, si può costruire qualsiasi cosa, persino porre le fondamenta per una futura grande e bella amicizia.
        Non ti eri spiegato male, hai espresso il tuo punto di vista ed io il mio e, come sempre, abbiamo trovato un punto di incontro, che cosa può esserci di più bello al mondo?
        Certo che ho stima e benevolenza per te, da sempre!
        Buona serata!!!

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        1. Mamma mia quanto hai ragione quando dici che non c’è niente di più bello di trovare un punto di incontro tra due diverse posizioni, soprattutto perché il segreto del successo di una simile operazione è un altro successo esso stesso ovvero essere persone civili, che si stimano e si rispettano ed al giorno d’oggi questo è già molto…
          Di muovo buona serata, Val!

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          1. Grazie infinite, per aver apprezzato. Credo che il rispetto al giorno di oggi sia un ottimo punto per cercare di ripartire e provare a costruire un modo di vivere più autentico e vero. Buona serata Kasabake
            Val

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  5. Sei bravissimo a scrivere! Tutti i tuoi scritti mi trasmettono tantissimo! bellissimo post, grazie di cuore per la condivisione, concordo pienamente su tutto. Buona serata! 🥰❤

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    1. Oh, Giada, ringrazio io te, che sei da tempo non solo una mia lettrice, ma una vera fan!!!
      Grazie, ti abbraccio forte!

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  6. Ti ringrazio della citazione fatta all’interno di un post così carico di cuore, e ti risponderò come si deve poi, quando questo post sarà dimenticato e ce ne saranno altri successivi. 😉

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    1. Ah, ah, ah, sei impagabile!
      Arriverai come un vero vendicatore, quando uno non se lo aspetta più… e zac!

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      1. Esatto, all’improvviso quando nessuno (tranne chi gestisce questo blog) leggerà… 🙂

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        1. E scatta subito il pensiero verso la scena finale del primo originale Pianeta delle Scimmie, con la Statua della Libertà sepolta nella sabbia ed il protagonista che capisce dove la sua astronave in avaria lo aveva portato…

          Vedo la sabbia e la polvere schiacciata dagli stivali in lega poliuretanica della tuta spaziale del tuo ennesimo ultimo clone, mentre si avvicina al portellone della capsula del tempo, in cui una memoria con un player incorporato è rimasta nascosta per secoli, tenuta in vita da una batteria funzionate a radiazioni solari.
          Il Gregoroni numero 2001 riavvia quel dispositivo, risvegliando il mio post rimasto in letargo per tutti quegli anni: le dita guantate ticchettano sulla tastiera e poi fanno invio al commento, che partirà verso una destinazione sconosciuta, destinata ad arrivare dopo che persino il nostro sole si sarà spento del tutto, prima della vampata d’orgoglio finale.
          Ai confini della galassia centrale, in una casa costruita non si sa come sul bordo dell’orizzonte degli eventi di in un gigantesco buco nero, dove spazio e tempo sono rallentati in modo non misurabile, un clone di Kasabake legge il commento e sorride: diavolo di un Gregoroni, ha costruito dei cloni pur di non fare in tempo a fare tutto…

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          1. Ecco, appunto…… 😛

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          2. …avevo pensato alla puntata dove dr. Who trova ciò che ha scritto nel passato, ma in fondo il paradosso è sempre lì… 😉

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            1. Come cantava Cristina D’Avena, nella versione italiana della sigla del pregiatissimo cartone animato francese di genere educativo di Albert Barillé, io e te caro Gianni “Siamo fatti così”…

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              1. Sono molto affezionato agli anticorpi di tipo T, ancora prima che venissero alla ribalta per gli ultimi fatti pandemici 😛
                Ero fan dello schizzato neurotrasmettitore

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                1. Chi non era fan di quel cartone… Stupendo, nonché tu, mio GG, assolutamente impagabile (che poi, impagabile… Qualcuno faccia un’offerta che poi la su discute, eh!)

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  7. Molte persone (sia comuni che famose) si mettono a scrivere libri nella convinzione di poter produrre trame appassionanti e di qualità, quando invece nella maggior parte dei casi i loro libri sarebbero da mandare al macero per direttissima. Quando ad improvvisarsi scrittori sono le persone famose poi il danno è ancora più grande, perché tolgono spazio nelle librerie agli scrittori veri, che senza la loro invasione di campo magari avrebbero potuto ottenere la visibilità e il successo che meritano.
    Un esempio su tutti: un’influencer di Instagram (Camihawke) ha scritto un romanzo intitolato “Per tutto il resto dei miei sbagli”. La trama era chiaramente autobiografica, e parlava della vita di una studentessa universitaria: dato che i libri ambientati nel mondo della scuola mi sono sempre interessati, ho deciso di dargli una chance. Me ne sono amaramente pentito, perché la ragazza in questione, non essendo una scrittrice, non riusciva assolutamente a rendere interessante ciò che raccontava. Il problema è che quel libro, essendo stato scritto da un’influencer con oltre un milione di followers, al momento dell’uscita ha monopolizzato le vetrine di tutte le librerie, togliendo spazio a romanzieri molto più validi. E aggiungo anche molto più bisognosi di quella visibilità: Camihawke anche senza le vendite di quel libro sarebbe campata benissimo, per un autore emergente invece anche la vendita di poche copie in più può fare una differenza da così a così. Magari i vip dovrebbero pensare a queste conseguenze prima di decidere di allargare il loro brand al mondo dell’editoria.
    Che io ricordi c’è soltanto un libro scritto da un vip che mi è piaciuto davvero: “Un altro giorno verrà” di Iva Zanicchi. Tuttavia è un’eccezione clamorosa, perché quel romanzo è un capolavoro assoluto. Se fosse stato scritto in forma anonima (come nel caso di Elena Ferrante) sarebbe diventato sicuramente un caso editoriale. Purtroppo invece la Zanicchi ha voluto metterci la faccia, non capendo che così facendo avrebbe condannato il suo romanzo a venire bollato come l’ennesimo libruccio scritto da una vip senza un briciolo di talento. La Zanicchi invece il talento per la scrittura ce l’ha eccome, e se le darai una chance te ne accorgerai anche tu.

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    1. Parto dal fondo: per quanto creda alla buona fede delle tue parole, sul libro di Iva Zanicchi passo la palla, perché davvero ci sono almeno un milione di libri che se avessi tempo leggerei prima del suo!! Partendo da alcuni classici europei da riscoprire, passando per ameno 20 degli ultimi premi Nobel di cui ho letto troppo poco (con l’eccezione di Modiano che amo moltissimo), per approdare alla sci-fi di nuova generazione (quella del filone weird tanto per capirci) e poi ci sono gli autori cinesi e coreani e giapponesi (mi sono da poco appassionato ad un paio di autori nipponici di romanzi gialli da lasciare sbalorditi, uno su tutti Higashino Keigo, davvero una meraviglia con più di 80 romanzi al suo attivo), senza saltare il nuovo “heroic fantasy” alla Abercrombie (la sua trilogia de La Prima Legge è leggenda!) o alla Rothfuss… Poi ci sono i giovanissimi italiani che come dici tu fanno fatica a trovare spazio perché occupato visivamente in vetrina da vecchi tromboni e trombone in cerca di uno scampolo di notorietà residua…
      Perciò archiviato in modo definitivo il discorso Zanicchi, veniamo invece alla parte succosa del tuo commento, quella che come sempre ti rende una lettura indispensabile sia quando scrivi post sia quando scrivi i tuoi commenti ovvero il tuo osservatorio sulla letteratura meno nota, più giovane e più immaginifica, a cui tu, (davvero sei tra i pochissimi influencer a farlo), dedichi sempre ampio spazio nel tuo seguitissimo blog: i tuoi consigli di lettura non sono mai ovvi, mai banali, mai legati alla notorietà non letteraria del suo autore, ma sempre e solo alla tua esperienza diretta di lettura!
      Non conto nemmeno i post in cui hai fatto conoscere ai tuoi follower autori per noi italiani quasi sconosciuti e che grazie a te hanno avuto insperata viabilità!!
      Un grande servizio, amico Wwayne, un grande servizio!!

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      1. Hai ragione: su WordPress siamo in pochi a parlare di libri, e quei pochi spesso raccomandano dei romanzi stranoti, che non hanno alcun bisogno di venire consigliati perché vendono milioni di copie in automatico. Per fortuna però ci sono anche dei blogger che si dedicano anche a romanzi totalmente sconosciuti, pubblicati da editori minuscoli o addirittura autopubblicati, per i quali le recensioni sono invece preziosissime, perché è soltanto grazie ad esse che riescono ad ottenere un minimo di visibilità.
        Se recensisci un libro di John Grisham, per lui non farà alcuna differenza; se invece recensisci il libro di uno sconosciuto, gli regalerai l’emozione impagabile di accorgersi che il suo libro è stato comprato non soltanto dai suoi amici e parenti, ma anche da persone che non lo conoscono nemmeno, e che hanno comprato il suo libro soltanto per il suo valore letterario. Alla luce di questo, per me è una scelta facile quella di recensire quasi esclusivamente i libri degli autori emergenti: come hai detto giustamente tu, è un servizio a tutti gli effetti, che io fornisco non solo agli scrittori, ma anche ai lettori, che altrimenti non verrebbero mai a conoscenza dei libri di cui parlo. Mi fa molto piacere che tu apprezzi questa mia politica, e spero di trovare presto dei nuovi libri belli ma sconosciuti a cui dedicare un post. Grazie mille per i complimenti, e buona Domenica! 🙂

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        1. Non ti loderò mai abbastanza per il lavoro che stai facendo sulla narrativa e in parte anche su quello cinematografico, ma mi piace insistere sulla valenza di quello che tu dici e scrivi riguardo i libri di autori spesso sconosciuti ma validi altrettanto se non di più di nomi noti arcinoti, perché la narrativa è davvero, a differenza del cinema, un’arte in cui è possibile esprimersi quasi a costo zero, parlando ad esempio di opere autoprodotte ed auto pubblicate con pochissima spesa o addirittura nulla tramite delle piattaforme web…
          Insomma, ancora complimenti davvero e buona domenica!

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  8. Io invece penso che tu sia uno scrittore, proprio perché ami così tanto la scrittura. Forse non scrivi mentre sei in bagno, e probabilmente non scrivi continuamente perché hai una famiglia, e hai un lavoro, ma per me tu sei uno Scrittore.
    Ci sono poi operazioni commerciali sotto forma di libro che non hanno niente a che vedere con chi ha la passione che hai tu.

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    1. Capisco benissimo l’enormità del tuo complimento e mi fa tantissimo piacere, ma sono troppo “comodo” per avere lo status del vero scrittore e poi sono troppo preso da miliardi di cose e non sono specializzato in alcuna…
      Sto ragionando di creare una mia religione, il kasabakismo, con un suo codice di regole di vita che se infrangi puoi chiedere di essere perdonato pagando l’assoluzione online, con carta di credito, Apple Pay e Google Pay…
      Ci sto lavorando…
      Scherzi a parte, grazie sempre per le tue parole 😍

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      1. ah ah ah …. assoluzione a pagamento … ironia perfetta ed evitiamo riferimenti “casuali” …
        Regole?
        Le regole si infrangono … no, scherzo!
        Prima regola del Kasabake club …
        Il Kasabake club non esiste!
        🙂
        E ri-contesto: non è vero che non sei specializzato in nulla!

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        1. Mi piace moltissimo l’idea del Kasabake Club…
          Potrei farne uscire un racconto…
          Grazie della dritta (sarebbe a metà dell’orrore ed a metà ironico)

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          1. Fantastico!
            Ci conto!!
            E in questo caso: occorre assolutamente PARLARE del Kasabake Club.

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            1. Se si fa voglio subito la tessera! 😛

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                1. Ovviamente nella sala Vip del club c’è una macchina Faema attrezzata per il miglior caffè in commercio!

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                  1. E qualche tavolino con le sedie…..

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                    1. Certo, in realtà poltrone molto comode e qualche divano…

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                  2. Ovviamente tutto ciò è fantastico!!

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              1. La tua sarebbe una tessera tipo Gold!!

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                1. Certo, prenderei la meglio, non c’è nemmeno da dirlo 😜

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  9. La cosa che mi stupisce di oggi e che, nonostante l’immagine abbia preso il sopravvento sulla parola, si è iniziato a pubblicare un’ infinita serie di libri (praticamente ormai lo fanno tutti: gran lavoro per i ghost-writers, come hai affermato tu); e nonostante si dica che in Italia leggiamo pochissimo, le librerie sono innondate di pubblicazioni. Non so cosa dirti, ma il discorso è sempre lo stesso: siamo noi che dobbiamo fare la selezione, anche perché alla fine sarà la qualità a rimanere inalterata nel tempo. Quando mi chiedono un parere sulla scrittura, dico sempre la solita frase: se sul Vangelo leggiamo la frase “in principio era il verbo…” vuol dire che prima di noi esisteva la parola, e se noi veniamo dalla parola e abbiamo ereditato questo dono immenso, dobbiamo difenderlo a tutti i costi. Narrativa, poesia, saggistica e teatro sono il canto di questo dono e per tutti quelli che scrivono, un applauso va fatto. Poi, mi ripeto, ci dev’essere la qualità. Il discorso è complesso e articolato, e con quello che hai scritto mi trovo concorde, anche se poi come vedi, i grandi scrittori che hai citato, come tali rimangono e saranno sempre ricordati; il resto è cacca che secca in fretta (dopo la puzza) e basta un calcio per eliminarla. Buone cose e… non fermarti mai. In fondo, anche la reta ha il suo scopo, proprio come esempio di giudizio relativa alla bellezza. Salute…

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    1. Quando mescoli sacro o profano, registro basso e registro alto, come faceva un titano come Dario Fo, sei assolutamente delizioso…
      Direi che siamo concordi sul reciproco stupore verso l’enorme quantità di carta stampata, troppo spesso per libri che mi sembra incredibile possano vendere e contemporaneamente ci sono grandi autori che di alcune opere si fatica a trovare le ristampe…
      Tutto questo senza parlare dei fumetti che ultimamente grazie ai manga stanno scalando le classifiche di vendita in Italia e Francia, tanto che un libro come quello di Zerocalcare vende molto più di un Premio Strega (cosa per altro buona e giusta) e senza contare che Amazon sta vendendo tonnellate di byte di libri in elettronico…
      Ma allora, davvero, a che serve tutta questa carta che viene stampata? Ad essere maliziosi verrebbe da pensare a regalie di convenienza o ad escamotage fiscali, ma lasciamo perdere…
      Comunque si, selezionare è essenziale, purtroppo e ti dirò che a molto serve il passaparola per conoscere anche nuovi autori emergenti, altrimenti si resta con i classici, sempre validi per carità, ma ci vuole anche la novità…
      Io e te dobbiamo prima o poi parlare di Arte ed in particolare di quella che viene ogni due anni esibita nei padiglioni e negli eventi esterni della Biennale di Venezia… Sto preparando qualcosa a livello fotografico di cui quando avrò tempo ti vorrei parlare…
      Grazie sempre di leggermi!!!

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      1. Quando vuoi, il mio Bar è sempre aperto: a tutte le ore 😀 Cin! Cin!

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        1. Con questo freddo, è già periodo di Irish Coffee… Salute!

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  10. Come scrissi ti dovevo una risposta più seria a questo post, che si può dire mi chiama in causa come forte lettore pentito e anche perché all’inizio hai citato il Crom Award.
    Parto subito con la mia definizione di scrittore, affermando che è uno scrittore chiunque venga pubblicato e riceva un compenso, seppur piccolo, e abbia un contratto con una qualche Casa editrice che stampa i suoi scritti. Accettabile come definizione? Non accettabile? Personale? Boh, è quanto penso io.
    Non più tardi della settimana scorsa, Il Venerdì di Repubblica affrontava un argomento affine, qui (riassumo) si indicava in 30.000 copie il numero per entrare a far parte dei professionisti, quelli che cioè con lo scrivere ci cominciano a vivere, che vengono chiamati a fare le presentazioni spesati, e magari ricevono pure un compenso quando vanno alle fiere.
    E il resto? E lo stile, e il sapere scrivere? Intediamoci: quello, il saper scrivere, serve, ci deve essere, anche se da più parti leggo che il livello si è abbassato, che il lettore medio non vuole impegnarsi troppo, che il libro deve essere in grado di dare immedesimazione e soddisfazione a chi legge, sennò non vende.
    Tu citi Bukowski, eh… lui diceva di scrivere ciò che ci piace, di non cambiarlo se agli altri non piace, si deve essere come uno scarafaggio sul muro… cito a memoria, niente Wikipedia, roba letta anni e anni fa… E a tal proposito ricordo Anne Perry, Colin Dexter… mi ricordo un libro della Perry ambientato in epoca vittoriana, un bel giallo, complesso, in ventisette pagine l’autrice presenta una decina abbondante di personaggi, li descrive quel tanto che basta per farceli capire, capito? In ventisette pagine! Colin Dexter, con un personaggio ubriacone, non troppo alto, quasi affascinante, che non ha un torbido passato, è solo uno che beve ed è un bravo poliziotto, quell’ispettore Morse con la passione dei crosswords?
    E poi leggo tutta quella massa di persone che, poiché sa scrivere, nell’accezione di avere un livello culturale minimo, una certa alfabetizzazione tale da permettergli di buttare giù frasi tendenzialmente comprensibli, che spera di finire “sceneggiato” in una qualche serie tv\web\film, e mi viene da dire: di questi 50 milioni che provano di cui 50 ce la fanno, quanti sono scrittori? Quanti scrittori professionisti? Quanti bravi?
    Già perché di corsi di scrittura creativa, archetipi con cui costruire un personaggio coerente, trame che si infittiscono, ne abbiamo a pacchi ma… e così mi riallaccio ad Anne Perry e a Colin Dexter ma anche a Bukowski e a tanti tantissimi altri scrittori veri (terza categoria) di scrittori veri quanti ce ne sono? E’ uno scrittore vero colui (o colei) che cerca di fare emergere il lato figo dell’ennesima protagonista con cui la lettrice si immedesima e ottiene la tanto agognata rivalsa? E’ uno scrittore vero chi non mette più di dodici massimo quindici personaggi in tutto il libro sennò poi il lettore si perde? Oppure lo scrittore vero è quello che si impegna e scrive quel che gli(o le) pare a lui(o lei) fregandosene di quelli che leggeranno, mantenendo solo come obiettivo (forse, perché evviva si può anche sperimentare) la comprensione del testo?
    Ho preso due giallisti a esempio e il poeta che hai citato, perché in questo momento dove mi giro mi giro vedo solo ispettori, detective, avvocati e gialli, oppure poesie, e se allargo lo sguardo libri dove incredibili (ma bellissime) protagoniste povere, incontrano l’amore (contorto) della propria vita, uomo impegnato nel sociale, ma asociale scienziato, figlio di una famiglia miliardaria che non lo capisce (e con addominali scolpiti) che dovrà fare i conti con un oscuro passato.
    E di nuovo mi domando ma Henri Charrière, si è preoccupato di archetipi, immedesimazione e numero dei personaggi, Beryl Markham scriveva soltanto, oppure faceva anche altro nella vita?
    Insomma, non so se ti ho risposto, non so se hai capito cosa volessi dire però, né se lo so io, alla fine, facciamo che ci sono tre categorie
    gli scrittori (pubblicati e pagati)
    gli scrittori professionisti (almeno un 30.000 copie)
    gli scrittori veri (pubblicati, spesso pagati, che se ne infischiano di finire o meno in qualche serie TV) gente con qualcosa da dire
    Il resto? E’ gente che sa scrivere, intenso come detto sopra, cioè con un certo grado di alfabetizzazione.
    Ciò detto chiudo, chiudo sperando che non ci siano troppi che cercano di seguire alla lettera i dettami dei corsi, i consigli, i decaloghi, ma che cerchino di scrivere, bene, ciò che a loro monta dentro come una marea, e che provino a buttarla su carta o il supporto che preferiscono, senza badare al fatto che dal loro scrivere faranno un film, o una raccolta sado, o dei cartoni animati, un po’ come Bukowski, beh ma lui scriveva per poter bere.
    Che scrivere per davvero sia tutto lì? Cercare di placare la sete che si ha dentro?
    Spero di non avere commesso troppi errori di battitura, altra tara di chi scrive nel senso di essere alfabetizzato!

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    1. Anzitutto, va detto che hai scritto uno splendido commento, in realtà tale perché più che “scritto” sembrava “parlato” come fosse la trascrizione di un intervento di un Talk show sull’argomento, cosa che ha reso tutto affatto professorale ed anzi molto sincero e diretto…
      Poi, malgrado la vastità dell’argomento, entro subito a gamba tesa nella questione, perché ho personalmente un’idea molto precisa sull’argomento, senza alcuna pretesa, sia chiaro, di avere la verità in tasca, ma di certo è la mia convinzione.
      Per me infatti esistono solo due tipi di scrittori: i Professionisti della Scrittura (che sono pagati per scrivere, che guadagnano da questa attività o che comunque valutano se stessi in base a quanto riescono a vendere, coniugando dove è possibile esigenze artistiche a quelle commerciali) ed i Veri Scrittori (che scrivono perché ne hanno bisogno, che vivono della loro scrittura, che forse vendono e forse no, che certamente provano a farsi pubblicare e girano testardamente per gli editori o che magari muoiono con ancora nascosta nel cassetto una copia del Grande Romanzo rimasta inedita, che non misurano se stessi in base al successo di vendita ma in base a quanto abbiano saputo saziare il loro demone interiore).
      Come penso sia chiaro, oltre al fatto che per me fuori di queste categorie non si potrebbe nemmeno usare il termine scrittore, io ritengo che i libri più belli, i romanzi indimenticabili, i racconti che quando li leggi ti cambiano davvero la vita, sono molto più probabili nella seconda categoria ma non è assolutamente escluso possano essere anche nella prima, perché il successo può arrivare anche quando non lo si è cercato a tutti i costi, ma quando arriva cambia la vita dello scrittore.
      Ciò che intendo è che per me a rendere una persona che scrive un vero scrittore è la molla che lo spinge, che per me non può assolutamente essere solo un passatempo o almeno non nel profondo: ci sono stati in passato uomini dell’aristocrazia nobiliare che hanno scritto libri eccelsi apparentemente come hobby ma che in realtà avevano trovato finalmente nella scrittura la loro vera vocazione e da quel momento la loro vita è cambiata, perché ad essere cambiati sono stati proprio gli stimoli con cui si svegliavano ogni mattina.
      Il vero scrittore è tale PRIMA di pubblicare e non DOPO: non è quindi il numero di copie stampate dall’editore a renderlo tale ma lo spirito con cui ha iniziato a dedicare sempre più tempo alla scrittura, sempre più dedizione, passione, pensiero, concentrazione, allo stesso modo di un vero pittore che non diventa tale dopo aver dipinto e venduto i suoi quadri ma lo è necessariamente prima di iniziare a dipingere, perché solo vedendo la sua arte come tale e non come una professione potrà sperare di creare un capolavoro.
      Ma questo è solo il mio pensiero e non sono un editore, perciò…
      Grazie di cuore Gianni, perché anche se tu forse pensi il contrario, ho apprezzato tantissimo lo spirito dietro il tuo commento!

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      1. Senza la pubblicazione del libro nel cassetto, non ci sarebbe un libro, senza questo, per me passaggio fondamentale, l’opera semplicemente non esisterebbe. Sì, forse i nostri due punti di vista si incontrano all’infinito, quindi non subito, o boh?

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        1. Non sono d’accordo nel modo più categorico su quello che tu ritieni un passaggio fondamentale, che invece per me è solo questione di semantica.
          A differenza di un film, che non esiste finché non viene girato (quindi finché non è stato trasformato da carta a pellicola), un romanzo comincia ad esistere assolutamente “prima” della sua pubblicazione ed esattamente nel momento in cui lo scrittore ha terminato le sue revisioni e considera la sua ultima bozza quella definitiva.
          La pubblicazione di un libro (ossia tutta la procedura che porta un terzo ad editare, stampare, distribuire e vendere un libro in modo fisico o elettronico) è solo il riconoscimento pubblico di un’opera che necessariamente deve esistere prima di tale operazione, tanto che di alcuni scrittori si parla di opere pubblicate postume e questo non rende i suoi autori “meno” scrittori ma solo autori “pubblicati” o “non pubblicati”; stesso discorso, portato agli estremi, si può fare per gli albori della narrativa, laddove alcuni grandi autori come Omero (sia stato esso davvero un singolo o come alcuni pensano un gruppo di autori), hanno creato storie che per anni hanno circolato solo per tradizione orale prima che qualcun altro le trasportasse in scrittura amanuense fisica.
          La pubblicazione di un libro (che lo scrittore ha necessariamente scritto prima, operazione che filosoficamente, logicamente e gnoseologicamente rende la persona che ha scritto uno scrittore) è solo l’atto che ufficializza collettivamente l’opera, quindi ne è il riconoscimento sociale e commerciale non artistico, perché un romanzo non esiste solo dopo la sua stampa/pubblicazione ma semplicemente si trasforma in libro.
          Allo stesso modo di un inventore che è tale prima che un industria realizzi in serie il suo prototipo di laboratorio.
          Non sono piccole differenze queste e non è retorica, perché il punto di incontro tra i nostri due punti vista è sulla distinzione indiscutibile tra “testo scritto” e “testo stampato” (cartaceo o elettronico), laddove tu per scrittore intendi solo un autore di libri ovvero di oggetti fisici costruiti da un terzo (l’editore).
          Definire prosaicamente uno scrittore solo colui che ha realizzato almeno un’opera che sia stata trasformata da testo scritto a opera stampata da un terzo, è ridurre il significato di scrittore da “creatore di storie” a “venditore di storie” e questa è una fallacia logica, perché confonde il riconoscimento pubblico di un autore con il suo esserlo davvero ossia confonde la natura originale di scrittore-creatore con il suo status sociale, anteponendo il “ruolo” al suo “significato”.
          Insomma, qui non è come per il tema filosofico dell’uovo e della gallina, perché c’è ovviamente una cronologia indiscutibile: creazione dell’opera prima e sua pubblicazione dopo.
          Piuttosto invece vale ovviamente il principio di definire “scrittore professionista” chi è pagato per aver scritto, così come un giocatore professionista è colui che viene pagato per giocare, ma tale distinzione io l’avevo già specificata.
          Bye

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          1. Interessante punto di vista, bello questo scambio. Su cui tornerò

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            1. Ottimo ed io sarò pronto quando vorrai continuare: ci lega una passione che rende te un vero scrittore, come ti ho scritto anche in privato e me un vero lettore!

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