Le Parole degli Anime: Hikikomori

Circa un anno fa, sulle pagine di questo stesso blog, ho cominciato ad affrontare un lungo viaggio dentro il mondo affascinante, visionario e pieno di emozioni dell’Animazione Giapponese e l’ho fatto nel modo che allora pensavo fosse il più corretto ovvero con un post che in qualche modo fissava dei punti di riferimento storici per l’evoluzione di quella forma espressiva.

Il complesso personaggio di Makima e la sua ambivalenza come cacciatrice di demoni per conto di uno speciale corpo di forze governative ed il suo rapporto con il mondo diabolico, in particolare con il Control Devil (Shihai no Akuma), entità ultraterrena che incarna la paura del controllo o della conquista, nello scioccante mondo costruito narrativamente dentro l’eccellente manga Chainsaw Man (Chensō Man, letteralmente tradotto con “Uomo motosega“), scritto e disegnato da Tatsuki Fujimoto nel 2020 ed oggetto nel 2022 di un inaspettatamente impeccabile adattamento animato nella serie televisiva curata dallo studio Mappa (uno dei più gettonati e richiesti sul mercato): sia il manga ipercinetico ed ultra-violento, sia il coloratissimo e spiazzante anime sono entrambi l’ennesima dimostrazione della pazzesca vitalità di un universo espressivo davvero stupefacente quale è quello dei fumetti e dei cartoni animati nipponici.

Non ho parlato a caso di viaggio, perché il mondo degli anime (abbreviazione di “animēshon”, traslitterazione giapponese della parola inglese “animation”) è costituito da opere cinematografiche e televisive difficilmente apprezzabili senza un minimo di preparazione o per lo meno di predisposizione d’animo ad accogliere molte informazioni per noi occidentali particolarmente nuove e distanti, sbrigativamente definibili come esotiche, perché intrise di una fortissima quotidianità, che però noi non riusciamo spesso a riconoscere perché declinata con i valori sociali e le consuetudini di un popolo che ha vissuto isolato dall’occidente per tanti secoli e che anche quando si è aperto al resto del mondo, cambiando profondamente alcune parti di sé ed accogliendo abitudini e valori fino ad allora assolutamente estranei, lo ha fatto comunque mantenendo ugualmente salda una sua fortissima identità.

Nel manga del 1994 e negli anime (nonché nei vari film live action da esso successivamente tratti) di Kenshin Samurai vagabondo – Rurōni Kenshin: Meiji kenkaku romantan (letteralmente “Kenshin il vagabondo: Storia d’amore dello spadaccino del periodo Meiji”), l’autore Nobuhiro Watsuki racconta la storia di Battōsai Himura, un formidabile spadaccino che aveva svolto il ruolo di spietato assassino durante la terribile guerra civile Boshin: per la sua opera, Watsuki si è ispirato, con molte libertà romantiche ed action, alla reale figura storica di Kawakami Gensai, uno dei quattro hitokiri ovvero i samurai rivoluzionari che si opposero allo Shogunato Tokugawa, la cui caduta nel 1868 segnò il passaggio definitivo dal sistema di governo del Giappone feudale a quello moderno dell’epoca Meiji; a seguito di tale transizione, ai samurai furono tolti titoli ed armi e con esse il diritto di uccidere, tradendo anche però il loro legame al proprio codice d’onore; nel 2003, gli statunitensi raccontarono una storia simile con l’ottimo The Last Samurai (USA, JAP, NZL, 2003), diretto da Edward Zwick e tratto dall’omonimo romanzo scritto da John Logan (che ha collaborato anche alla sceneggiatura in compagnia dello stesso regista e di Marshall Herskovitz), esempio perfetto di quel processo di occidentalizzazione traumatica, imposto nella seconda metà dell’800 dal governo centrale a tutto il popolo, compresi appunto i samurai.

Tutto questo lo avevo solo accennato in quel primo post dal titolo Road to Evangelion: il punto di svolta che cambiò il mondo dell’Animazione Giapponese, ma adesso che stiamo per proseguire il nostro viaggio (mio e di coloro che vorranno seguirmi), dobbiamo necessariamente allargare la nostra visione alla società giapponese nel suo complesso, per cercare di cogliere tutta la bellezza nascosta dietro fatti e situazioni per noi assolutamente estranei e cercheremo di farlo usando delle parole guida, simboleggianti concetti o fenomeni che avranno nei film e nei serial televisivi animati una loro esemplificazione: per quanto, infatti, in ognuno di noi ci sia la tendenza a semplificare il più possibile i significati delle cose che ci circondano per poterle comprenderle, ci accorgiamo ogni volta come tutto sia quasi sempre molto più complesso di come avremmo voluto e questo perché sia la struttura della natura, sia quella dei costrutti umani è piena di tantissime sfaccettature, con piccole e grosse differenze anche in ciò che da lontano sembra simile e che si rivelano solo avvicinandosi ad esse; un processo simile accade anche quando facciamo lo sforzo di mutare il nostro punto di osservazione, ad esempio quando viaggiamo all’estero, toccando con mano i diversi usi e costumi della vita di tutti i giorni di altre popolazioni, dai semplici gesti con cui si saluta, fino al modo e la scelta con cui i negozianti espongono i prodotti nei supermercati o persino il tipo di bibite vendute nei distributori automatici.

Nello straordinario lungometraggio animato cinematografico Penguin Highway – Pengin Haiwei (JAP, 2018), diretto da Hiroyasu Ishida e sceneggiato da Makoto Ueda (dall’omonimo libro per ragazzi di Tomihiko Morimi), le stupende animazioni e l’accuratissimo character design di Yojiro Arai conducono lo spettatore in una storia dalla sfrenatissima fantasia pseudo-fantascientifica, ma raccontata in scenari, personaggi e situazioni intrisi di una quotidianità minimalista molto attenta, a partire dalle anomalie di un distributore di bibite rivelatore degli strani poteri di un gruppo di pinguini apparsi un bel giorno praticamente dal nulla.

Anche solo restando nel nostro paese e parlando con chi da noi si occupa di preparare alimenti italiani da vendere all’estero, si possono scoprire molte cose a noi prima ignote, come il necessario punto di dolcezza di un gelato o di un dolce confezionato che deve essere abbassato fortemente quando si vuole fare esportazione nei mercati asiatici ed in particolare in quello giapponese, costruito per gestire un consumismo alimentare sfrenato di prodotti confezionati e precotti (tale a causa del poco tempo libero lasciato dai ritmi di lavoro e di studio incalzanti), ma dove sono abituati ad usare molti meno zuccheri in tutte le loro preparazioni, oltretutto lavorate molto più spesso di noi con liquidi naturalmente senza lattosio, come il latte di soia o simili.

All’interno del lungometraggio cinematografico Weathering with You – Tenki no ko (JAP, 2019), penultimo capolavoro dell’indiscusso maestro del cinema animato nipponico Makoto Shinkai (ogni suo nuovo lavoro è un vero evento per ogni appassionato o semplice amante della bellezza), c’è una lunga sequenza piena di colori e fondali meravigliosi, nella quale viene descritto un trio di speciali adolescenti che, durante la loro fuga disperata e piena di avventure rocambolesche dalle famiglie e dalla polizia, si rifugia in un albergo, dove riusciranno finalmente a consumare un vero pasto usando solo confezioni di pasta a cottura istantanea (Noodle, Udon, Shirataki, Soba, Somen, e Yakisoba) in vari condimenti (di carne e verdure), nonché snacks di ogni tipo, tutto in vendita nei distributori automatici dell’albergo: mentre fuori gli inseguitori cercano quei ragazzi dappertutto, circondati da una pioggia torrenziale che da svariati giorni sta allagando Tokyo, quel pranzo consumato in camera, seduti sul letto, malgrado fosse costituito solo da prodotti industriali, lontano quindi dal gusto delle preparazioni domestiche, sarà per loro un magico banchetto che li sazierà non solo nello stomaco.

La parola che esamineremo questa volta, come primo vocabolo-guida per il nostro viaggio nel mondo degli anime giapponesi, sarà Hikikomori, sul cui significato lascio subito la parola alla brava e simpatica Sayaka, insegnante di lingua nipponica in Italia, di estrazione italo-giapponese o come lei ama definirsi “nipporomana”, gradevolissima creatrice di contenuti sui vari social network, tra i quali soprattutto Instagram, TikTok e YouTube Shorts, dal cui profilo ho linkato questo brevissimo video:

Anche gli psicologi e gli psichiatri italiani, all’interno dei servizi di Neuropsichiatria Infantile del nostro territorio per lo più settentrionale, stanno già da svariati anni analizzando anche per il nostro paese questo particolare disturbo, sul quale a tutt’oggi, malgrado i primi studi risalgano già alla fine degli anni ’90, esiste una letteratura scientifica abbastanza scarsa ed anche una certa disattenzione da parte dei media e dei ministeri della sanità dei vari paesi occidentali e questo probabilmente a causa della difficoltà nel riconoscerne i sintomi nel primo livello di attenzione ovvero la famiglia: tra le cause dell’insorgenza di tale disturbo (presente nella stragrande maggioranza dei casi in maschi tra i 14 ed i 30 anni, di estrazione sociale medio-alta, figli unici con genitori entrambi laureati ed in cui in particolare il padre è spesso assente per motivi di lavoro), oltre a fenomeni di bullismo scolastico grave, sembra ci sia quella forma esasperata di stile genitoriale protettivo che in Giappone viene indicato non a caso dalla parola “amae” (dipendenza), in questo caso intesa nello specifico rapporto madre-bambino, ma che per i giapponesi assume una speciale valenza se combinato con alcune delle caratteristiche comportamentali insite nella mentalità nipponica come l’enrjo (riservatezza), il giri (dovere sociale), lo tsumi (peccato) e l’haji (vergogna).

Senza nulla togliere alla valenza poetica della citazione riportata da Sayaka nel suo video e presente nel lungometraggio animato miyazakiano de La città incantata – Sen to Chihiro no kamikakushi (JAP, 2001), capolavoro imperdibile per tantissimi altri motivi di natura estetica e narrativa, la serie animata nipponica che però meglio tratta la realtà del fenomeno degli Hikikomori, davvero troppo diffuso tra gli adolescenti giapponesi, è senza dubbio la giustamente celebratissima Welcome to the NHK – NHK En Eichi Kei ni yōkoso! (JAP, 2006, 24 Episodi), prodotta dallo studio Gonzo per la regia di Yūsuke Yamamoto, dove la narrazione delle vicende di un ragazzo tipico esemplare di hikikomori si sviluppa nell’esibizione puntuale di tutta una serie di dinamiche legate al disagio sociale e anche ad altre forme di dipendenze, mostrando in modo miracolosamente non noioso ed anzi accattivante temi particolarmente scomodi per il grande pubblico come la depressione.

Siamo arrivati di fronte ad una delle più grandi differenze esistenti nella costruzione di uno storytelling occidentale ed uno giapponese: prima ancora di continuare con gli anime, va infatti specificato che nelle sceneggiature di tutte le opere cinematografiche e televisive nipponiche (sia live action, che di animazione e persino nei videogames) è infatti lo stesso pubblico a pretendere che l’eroe della storia sappia mettere equilibrio tra giri (il senso del dovere) e ninjo (la risposta emozionale personale) e che quando honne (il nostro vero desiderio) e tatemae (il comportamento da tenere in pubblico e che gli altri si aspettano da noi) confliggono, egli sappia prendere la giusta decisione, perché se il vero mestiere dell’eroe, in Oriente come in Occidente, è sempre quello di fare la cosa giusta, per noi occidentali quella capacità si declina attraverso lo sprezzo del pericolo e l’audacia di fare ciò che nessuno osa fare, mentre per il pubblico nipponico significa saper compiere il proprio dovere, a tutti i costi, anche aldilà della morte stessa.

Perfetta esemplificazione di questi conflitti è la carismatica pellicola di Akira Kurosawa Anatomia di un rapimento (JAP, 1964), che in originale si intitola in modo più calzante Tengoku to jigoku (tradotto letteralmente significherebbe all’incirca Il Paradiso e l’Inferno), in cui si racconta una storia noir a fortissime tinte drammatiche dove il protagonista, un ricco imprenditore, che vive con la sua famiglia benestante nella parte alta della città, come un principe sotto agli occhi di tutti, sarà chiamato da un destino beffardo a prendere terribili decisioni riguardanti la vita del proprio figlio rapito da un malvivente, il destino della sua fabbrica di calzature (minacciata da soci fraudolenti) ed il senso del dovere sociale di fare la cosa giusta anche a scapito di ciò che il suo cuore vorrebbe

Tornando adesso al fenomeno degli Hikikomori, senza dilungarmi sugli aspetti medico-sanitari e sulle terapie indicate per tale disturbo del comportamento, è molto più interessante per il nostro viaggio nel mondo degli anime la constatazione che tale fenomeno sia stato trattato moltissimo nei manga, dato che la lettura e la fruizione degli stessi sono chiaramente una delle attività prevalenti dei ragazzi che di fatto vivono la loro esistenza come dei reclusi nella loro camera, costantemente attaccati al computer, alle consolle di videogames o a leggere praticamente di tutto, consumando persino i loro pasti nella loro stanza: tra le caratteristiche dei manga e quindi di conseguenza degli anime, c’è infatti uno strettissimo legame con la quotidianità della vita dei suoi fruitori, come ottimamente spiegato, in una delle sue clip di Lezioni di Fumetto apparse sui vari social, dal celeberrimo fumettista e sceneggiatore italiano Igort (al secolo Igor Tuveri, classe 1958), tra i maggiori esponenti della rivoluzione fumettistica italiana portata negli anni ’80 dagli autori di Alter Linus, Alter Alter, Frigidaire ed il gruppo Valvoline, artista e divulgatore a tutto tondo, con importantissime collaborazioni in Italia ed in Giappone (dove le sue opere sono pubblicate da Kodansha) ed autore recentemente dei volumi Quaderni Giapponesi (serie di graphic novel da lui interamente scritte e disegnate).

Proprio per questo legame fortissimo con la quotidianità, troviamo quindi gli Hikikomori come protagonisti di tantissimi anime, dei generi più diversi, dove la presenza di personaggi descritti con tale disturbo del comportamento non è nemmeno l’aspetto saliente della storia, ma solo una caratteristica che li definisce e che persino, all’interno della trama, viene talvolta usato come espediente narrativo per la risoluzione di un conflitto o un problema; in questo senso, probabilmente il caso più spettacolare di utilizzo di un Hikikomori come elemento vincente è quello presente in un altro vero gioiello del cinema d’animazione giapponese ovvero Summer Wars – Samā Wōzu (JAP, 2009), dove il brillantissimo regista Mamoru Hosoda (uno dei nomi di riferimento di questo genere espressivo, la cui firma è presente in vere pietre miliari, tra le quali è davvero impossibile non ricordare l’imperdibile La ragazza che saltava nel tempo – Toki wo kakeru shōjo, di cui avrò certamente modo di parlare in futuro) e lo sceneggiatore Satoko Okudera, usano gli splendidi disegni del maestro Yoshiyuki Sadamoto (per idolatrare il quale, sarebbe bastante il suo lavoro sui character della serie culto di Neon Genesis Evangelion – Shin seiki Evangerion) e l’animazione del pluripremiato studio Madhouse (a cui si devono persino le sequenze animate dentro Kill Bill Capitolo 1 di Tarantino) per trasportare lo spettatore nella pazzesca evoluzione di una storia che parte da un raduno familiare in campagna, per festeggiare il compleanno di una bisnonna, fino alle avventure di un giovane mago della matematica che da quella quotidianità rurale, fatta di piccole cose ed importanti sentimenti, viene catapultato in uno scontro fantascientifico con un’intelligenza artificiale che rischia di sconvolgere il mondo.

Oltre alla accurata descrizione del reale funzionamento delle attuali reti informatiche, sia dei PC che degli smartphone (senza quella fastidiosa approssimazione tendente solo all’enfatizzazione spesso presente negli action fantascientifici occidentali), il film di Hosoda ha il pregio di presentare l’indimenticabile personaggio di King Kazma, avatar dalle potenzialità di leggendario combattente virtuale usato dal cugino tredicenne del protagonista (un hikikomori campione di videogame), dentro l’universo cibernetico dell’immaginario gioco online per computer di Oz: sarà proprio grazie alla descrizione di questo profilo di gioco che la storia del film viaggerà sul doppio binario della realtà offline e di quella virtuale online, permettendo all’animazione di costruire due differenti mondi visivi che si intrecceranno tra loro in continuazione e con esiti sorprendenti

Questo è tutto per oggi: grazie alla parola-guida scelta per questo post, abbiamo iniziato un viaggio dentro l’affatto scontato mondo dei manga e degli anime giapponesi, incontrando non solo il fenomeno adolescenziale degli Hikikomori, ma anche la forte presenza della quotidianità in queste forme espressive e non ultimo dei diversi modi che la società nipponica del ieri e dell’oggi affronta temi come il dovere sociale ed il senso di giustizia degli eroi delle proprie storie.

Arrivederci quindi alla prossima puntata ed alla prossima parola-guida!

Categorie Animazione, Animazione Giapponese, Cinema e Tv

54 pensieri riguardo “Le Parole degli Anime: Hikikomori

  1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 19:35

    Bellerrimo Kasabake bellerrimo di vero cuore. Io farò un post sugli spiriti e mostri giapponesi che è un mondo maestoso Veramente! Kasabake non a caso😉 però non hai ancora compiuto i 100 anni😂😂😂😂😂😂

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    1. Ah, ah, ah! Sei uno spettacolo Paola…
      Piuttosto, hai mai avuto occasione di incontrare il fumettista Igort? È veramente di ispirazione…

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      1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:39

        Lo conosco eccome

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        1. Te l’ho chiesto perché tu, oltre che una raffinata artista, sei anche un’ottima conoscitrice di “anime” ed ero curioso di sapere cosa ne pensassi: io non lo frequento come persona malgrado il suo lavoro presso la Bao Publishing (da cui si è poi allontanata per divergenze artistiche) lo abbia portato a Bologna e quindi la mia conoscenza è solo come estimatore delle sue opere, ma magari tu invece lo hai proprio incontrato… Solo curiosità!
          P.S. Sui demoni giapponesi considero sinceramente la mia bibbia personale i due volumi della Enciclopedia dei mostri giapponesi curata dai Kappa Boys, con i quali a suo tempo ho lavorato.
          P.P.S. Oltre al Kasabake ovviamente sono molto legato ai kodama dei boschi…
          P.P.S. Non vedo l’ora che tu scriva il tuo post!

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          1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:50

            Non lo conosco di persona ma so di lui…….. In realtà non sono una conoscitrice dei manga, so qualcosina ma non troppo. Mi piace tanto il folclore giapponese e l’idea che ovunque alloggino figure misteriose😍

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            1. Come sai invece per me sono una vera passione e penso che assieme potremmo creare un bello scambio di pensieri e di armonie…

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              1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:52

                Assolutamente sì

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                1. Stima e rispetto, Paola, stima e rispetto!

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                  1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:55

                    Eccerto che sì

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      2. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:44

        Tu conosci Kitaro????????♥️♥️♥️♥️♥️♥️

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          1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:51

            Guarda il mio ultimo post……….. Kitaro è molto di mio sommo gusto

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            1. Kitaro dei cimiteri!!!
              Cavoli, Paola, fortuna che conosci i manga solo un pochino!!!
              Questa è una chicca per veri adepti!! Il manga che ha di fatto sdoganato gli yokai nei manga mainstream in Giappone!!
              Io, che avevo bellamente “saltato” il tuo post pensando che fosse solo un gradevole augurio musicale di buona giornata o buona serata, avevo pensato che ti riferissi al musicista contemporaneo noto per le fusione di musica elettronica e new age (tra l’altro penso che il suo nome d’arte so proprio un omaggio al manga…).
              Riesci sempre a stupirmi…

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              1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 21:06

                Io lo adoro, è molto nelle mie corde e ha una storia longeva….. sapevo che lo conoscevi, i primi fumetti sono incanto e hanno sì dato vita agli Yokai manga e una bellissima parte storico letteraria….. Farò un post a riguardo

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                  1. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 21:08

                    🎉🎉🎉

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          2. 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑎 𝑃𝑖𝑜𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖 10 Dic 2022 — 20:52

            Disegnato da Shigeru Mizuki nel 1959♥️

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  2. Come è nelle tue corde, un post ben scritto e dettagliato peccato che io non conosca il genere ma a parte questo, m8 ha fatto piacere apprend3re da te. Buona serata 😉

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    1. È questa tua è una cosa davvero bella da dire a chi ha scritto un post, lo sai vero?
      Niente che possa stupirmi, perché sei una persona molto sensibile ed anche curiosa!
      Grazie di tutto!

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  3. Assolutamente fantastico post!!! Mi hai insegnato tante curiosità sul Giappone e i fantastici retroscena degli anime!!! Grazie di cuore!!! 🥰❤

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    1. Grazie a te Giada! Tra l’altro io e te passeggiamo spesso sulle rive di quel vasto mare degli anime e dei manga, sicché siamo in sintonia!

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      1. Verissimo!!! 😉🤩❤

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  4. Eccomi, scusa il ritardo socio ma avevo mia figlia con il compagno a cena. Purtroppo il fenomeno di cui parli è presente anche da noi già da tempo e penso che la cosa si sia allargata a tutto il mondo. Purtroppo quando il progresso e i nuovi mezzi che ci sono a disposizione vengono usati male accade questo e alcune volte l’epilogo è davvero tragico se non si riesce ad intervenire in tempo. La tecnologia, per quanto bella ed interessante, è e deve rimanere solo un ausilio, uno strumento e non deve mai prendere il posto della realtà e del vivere quotidiano è bene ricordarlo sempre.
    Ottimo post come sempre| Buona serata e buona domenica amico mio.

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    1. Grazie moltissimo Silvia, tra l’altro immaginavo che tu fossi al corrente di questo fenomeno adolescenziale, visto tu hai sempre avuto uno sguardo attento ed anche partecipe ai disturbi del comportamento ed al dolore creato dalle varie forme di depressione… E non lo dico solo per l’evidenza portata dal tuo ultimo post ma anche dalle tante chiacchierate fatte via web.
      Sono problemi enormi dove, dispiace dirlo, ma la responsabilità genitoriale è schiacciante ed anche purtroppo negata, il che è poi il vero problema, giacché anche i muri sanno che il primo passo per uscire da una dipendenza è ammetterne l’esistenza, laddove invece spesso alcuni genitori la negano e questo vale anche per l’alcol o la ludopatia o il bullismo perpetrato e non subito dal proprio figlio: finché si nega che esista un problema in famiglia (comprese certe forme di attrazioni morbose ed ambigue) non lo si può nemmeno iniziare ad affrontare…
      Ma questa è un’altra storia…
      Grazie sempre e buona serata!

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      1. Purtroppo lo conosco anche da vicino, anni fa il fratello di una collega, poco più che ventenne, si suicidò dopo circa 6 mesi che se ne stava rinchiuso nella propria stanza. Lo so che non si deve mai giudicare, ma io un figlio non lo lascerei chiuso nella sua stanza nemmeno per una settimana, con le buone o le cattive lo farei uscire.

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        1. Esattamente… E potremmo dirne tante ma il senso è proprio questo: intervenire può fare male, a se stessi ed anche a chi amiamo ma assecondare è finto amore o meglio, come dicono gli psicologi, è “amore tossico”…

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  5. Almeno in Italia gli hikikomori sono un’assoluta eccezione. Al contrario, i giovani italiani sono l’esatto opposto degli hikikomori: lo so perché quest’anno insegno in una prima superiore, e mi sono accorto che i 14enni vedono come una vera tortura il fatto di dover stare 5 ore filate tra le 4 mura di un’aula. E infatti chiedono continuamente di andare in bagno, perché per loro è insostenibile stare 60 minuti consecutivi dietro a un banco: loro hanno un’urgenza incontenibile di evadere da quegli stretti confini e vagare per qualche minuto nei più ampi orizzonti dei corridoi dell’istituto.
    Riguardo al fatto di mettere più o meno zucchero o più o meno sale nei cibi, pensa che quest’abitudine a insaporire di più o di meno varia non soltanto da paese a paese, ma perfino da zona a zona. Ad esempio, tutta la costa toscana è rinomata per l’eccellenza del suo pesce, ma il modo in cui viene preparato varia moltissimo a seconda della località: a Livorno e dintorni lo preparano in modo molto saporito, in tutti gli altri posti invece preferiscono una preparazione “delicata” (e quindi insapore, perché il pesce a differenza della carne non ha un gusto molto marcato, quindi se lo condisci poco non sa di niente).
    Riguardo al senso del dovere, in effetti è un valore molto meno sentito in Occidente rispetto all’Oriente, e anche questo l’ho capito grazie alle mie esperienze lavorative Quando uno studente dev’essere interrogato in un determinato giorno, i suoi compagni non studiano, perché contano sul fatto che lui si presenterà e quindi il professore non sarà costretto a chiamare nessuno al suo posto: lo studente, consapevole di questo, in teoria dovrebbe presentarsi a tutti i costi, perché il suo senso del dovere gli imporrebbe di non mettere nei guai i suoi compagni. E invece accade con una frequenza impressionante che lo studente in questione non solo non si presenta, ma non ha neanche il buon gusto di avvertire per tempo i suoi compagni, causandogli così un danno irreparabile. Basterebbe avvertirli la sera prima e loro potrebbero farci qualcosa: proverebbero a studiare qualche pagina all’ultimo minuto, oppure deciderebbero di stare a casa anch’essi. Ma se non vengono avvertiti, scoprono l’intoppo quando sono già arrivati in classe e ormai è troppo tardi per approntare qualsiasi contromisura.
    Riguardo a Kill Bill Vol. 1 e al suo legame con il Giappone, ricordo di aver visto un’intervista a Tarantino in cui lui raccontava la genesi di una delle scene più iconiche del film: quella in cui una live band interamente al femminile canta dentro a un ristorante giapponese, e durante la loro esibizione la protagonista si prepara ad aggredire O-Ren Ishii. Inizialmente Tarantino aveva concepito quella scena senza la live band; poi un giorno era in Giappone, è entrato in un negozio per comprare un paio di scarpe, e mentre lo stava provando ha sentito in sottofondo una canzone di questa band (quella che poi è finita nel film). Ne è stato conquistato fin dal primo ascolto, quindi si è precipitato dalla commessa e le ha chiesto se quella canzone era stata trasmessa alla radio o se invece faceva parte di un CD: per sua fortuna faceva parte di un CD, quindi la commessa gliel’ha passato e lui è potuto risalire al nome della band che aveva registrato la canzone. Un colpo di fortuna incredibile per la band in questione e anche per noi spettatori, perché la gioiosità della canzone cantata dalla band e la tensione che prova lo spettatore nel vedere che la protagonista si avvicina sempre di più alla sua preda creano un contrasto davvero formidabile.

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    1. Proprio il fatto che in Italia quello degli hikikomori sia un fenomeno ancora non allarmante (anche se in crescita in modo preoccupante, laddove era fino al millennio scorso del tutto assente) è il motivo del perché l’ho scelta come una delle parole-guida del mio viaggio dentro il mondo degli anime: siccome, al contrario, in Giappone è un disturbo molto spesso riscontrabile negli adolescenti, inserire nei vari anime riferimenti a quel disturbo o fare addirittura di alcuni di essi dei veri protagonisti è cosa normale per uno spettatore giapponese ma non per un italiano, che ne sarebbe fin troppo stupito!
      Tra l’altro non è che una delle tante cose che di norma rendono ostica la fruizione degli anime a chi non conosce un po’ la società giapponese e nelle prossime puntate cercherò di analizzarne altre…
      Intanto grazie per il tuo commento, come sempre ricchissimo di informazioni…

      Intanto, ti ringrazio tantissimo per il tuo commento, che come sempre è una vera miniera di informazioni “di prima mano”, non solo cinematografiche, che sono ovviamente sempre molto interessante, ma soprattutto di interesse comportamentalep dei giovani nel quale tu, per via dellatua professione occupi una posizione di osservazione assolutamente privilegiata nel tuo essere insegnante: ascoltarti è sempre un grande piacere!!!

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      1. Un mio collega ha vissuto diversi anni in Giappone, e anche lui mi ha detto la stessa cosa: la società giapponese è impenetrabile per chi viene da fuori, nel senso che i giapponesi hanno un modo di pensare e di fare le cose che non ha un corrispettivo nel resto del mondo, e quindi per chi si ritrova a vivere in mezzo a loro l’ambientamento è piuttosto ostico. Anche perché il modo in cui fanno le cose non è mai intuitivo, ci vuole sempre un giapponese che te lo spiega per filo e per segno, altrimenti da solo non ci arriveresti mai (a prescindere dalla tua intelligenza). Questo racconto del mio collega è stato molto prezioso per me, perché mi sono basato su di esso per scrivere uno dei miei post più apprezzati (https://wwayne.wordpress.com/2022/05/01/il-mio-anno-a-tokyo/). Grazie a te per i complimenti e per la risposta, e buon fine settimana! 🙂

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        1. Grazie a te per i tuoi commenti, sempre importanti e buon week-end anche a te!!

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  6. ..e nonostante il post lungo, hai appena scostato il velo… 😉

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      1. Attenderemo pazienti
        A volte mi guardo indietro e vedo i 40 anni di manga che ho letto e anime che ho visto e mi domando se un giorno, forse…

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  7. Hai scritto un post molto interessante. Il fenomeno degli hikikomori è solo uno uno dei modi in cui i giovanissimo esprimono il loro disagio. In Giappone lo esprimono prevalentemente così, in Italia sballandosi e rischiando la vita , talvolta perdendola, nelle strade nel cuore della notte.

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    1. Grazie moltissimo!
      Si, hai ragione e la scelta delle parole che hai usato è assolutamente perfetta: “esprimere un disagio” è l’esatto a chiave di lettura per iniziare a capire.
      Grazie ancora e buona domenica!

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  8. Post assolutamente fantastico ❣️❣️❣️

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    1. Davvero? Mi fa molto piacere anche perché era un post tutto meno che semplice da leggere, perciò doppio grazie 😊😊😊

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      1. Grazie a te per questo ulteriore dettaglio
        Buona domenica 😘

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  9. Avevo sentito parlare di persone che continuano a giocare ad oltranza senza dormire e senza mangiare ma Hikikomori è una scoperta, così come quasi tutto il resto: come sapete sono moooooolto ignorante sul Giappone, per cui seguo e seguirò con estremo interesse.
    GRAZIE.

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    1. Ti dico la verità, mentre scrivevo il post, che sarà appunto il primo di una serie, pensavo proprio alle nostre chiacchierate…
      Alla fine diventerai una super-esperta!!

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      1. Wow!
        GRAZIE! Intanto inizio a “metter via” gratitudine perché te ne devo tanta!!

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  10. In Giappone il senso dell’onore si apprende fin da piccoli..la mia amica giapponese frequentava la scuola italiana dal lunedì al venerdì, il sabato quella giapponese e a loro spettava la decisione se essere promossi o bocciati. Tanto che la madre volle che ripetesse diversi anni.
    Il loro colore funebre è il bianco e fanno harakiri, si infliggono la morte per disonore. Mi raccontava sempre tante cose delle loro tradizioni e del buddismo. Io naturalmente ero curiosa di apprendere. Ciao Kasabake, un caro saluto 👋
    Val

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    1. Ciao Val, che bella la tua testimonianza con il racconto della tua amica!
      Ma a questo punto mi sorge spontaneo chiederti se tu hai mai apprezzato o semplicemente avuto occasione di vedere degli anime nel corso della tua giovinezza e poi in età adulta (dai classici per ragazzi e ragazze di una volta, tipo i vecchissimi Candy Candy, Lady Oscar, Mila e Shiro, Pollon, fino a quelli moderni e contemporanei)…

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      1. Io sono cresciuta con Candy Candy, Lady Oscar, Heidi and company, ho gioito e pianto con ciascun personaggio!!!
        Non avrebbe potuto essere diversamente!
        Sono contenta che tu abbia apprezzato la mia testimonianza.
        Ho partecipato a diverse riunioni di preghiera buddista, ma io sono cattolica e mi sembrava coerente fare una scelta.
        Apprezzo moltissimo i principi del buddismo, mi sono documentata e ho studiato. Tamiko mi ha raccontato molto in merito, peccato che a maggio si sia inceppato qualcosa nel nostro meccanismo. Mi regalò una bambola giapponese per il mio compleanno quando andavamo alle elementari, alle medie siamo anche state compagne di banco. La conservo ancora, si chiama come lei. Quando si trasferì a Firenze, ne soffrii molto. Fui molto felice 😃 quando ci siamo ritrovate, lei, a quanto pare, la pensa diversamente. Ci siamo viste a maggio l’ultima volta, scrissi un post sulla nostra uscita. È riuscita a farmi soffrire e non ne vedo il motivo, ma sono andata avanti. Conservo ricordi bellissimi di noi due e della nostra lunga amicizia.
        Un caro saluto 👋
        Val

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        1. Grazie Val, ti ho voluto chiedere questo perché in realtà moltissimi di noi come generazione hanno avuto esperienza diretta del mondo degli anime (e quindi della cultura, della religione e delle tradizioni di cui erano intrisi) solo attraverso gli show televisivi ovvero attraverso la selezione che veniva fatta in Italia dai network televisivi (Rai e Mediaset soprattutto) dei tanti programmi che venivano prodotti in Giappone…
          L’idea era quella di prendere solo una parte ed usarla per confonderla con ciò che già conoscevamo, magari mescolando quelle storie (che tu hai giustamente raccontato come ti abbiano fatto piangere e ridere) ad altre prodotte negli USA (come i cartoni animati di Hanna e Barbera, i Flintstones, i Pronipoti, gatto Silvestro, Tom e Jerry, etc.), cambiando i nomi originali (sia americani che nipponici) in nomi italiani per smussare le differenze…
          Alla fine si ottiene lo stesso effetto che si ha quando chi cucina in casa usa sempre il dado: tutto ha lo stesso sapore!
          Insomma l’idea è quella oggi di riscoprire i sapori originali, in questo caso i colori, i nomi, i luoghi e la cultura che sta dietro di essi.
          Tu hai parlato di buddismo è su questa piattaforma ci sono molte persone che lo conoscono profondamente ma per moltissimi è solo qualcosa di esotico di cui non sanno nulla e che invece dovrebbero approfondire…
          Grazie ancora delle confidenze e buon week-end!

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  11. Mi è piaciuto! Analisi puntuale di un fenomeno meno conosciuto di quanto meriterebbe. Ottimo post.

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    1. Grazie! Mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato l’argomento, per altro affatto semplice!!
      Come dicono in Giapppne, domo arigato!

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