Lo Spazio Cinematografico diegetico e non-diegetico: lo “shot/reverse shot”

Noi spettatori siamo da sempre abituati a guardare film e fiction televisive in cui le riprese sono costruite per imitare lo sguardo di un essere umano, filmate quindi per lo più con la cinepresa posta ad altezza occhi, con personaggi che si guardano l’un l’altro in viso, siano essi in piedi o seduti, sullo stesso livello o su diversi piani, dall’alto verso il basso o viceversa, magari affacciati ad una finestra o intenti a spiare da lontano attraverso un cannocchiale o nel mirino telescopico di un fucile da cecchino e questo perché, di fatto, il cinema stesso, come medium espressivo, per narrare le sue storie usa una simulazione di ciò che noi spettatori potremmo vedere se fossimo realmente sulla scena, anche facendosi aiutare a tale scopo da sfondi dipinti o realizzati digitalmente ed effetti speciali, meccanici o digitali, non solo in film dichiaratamente di soggetto fantastico, ma anche realistici.

Ricostruzione della New York del 1870 in “The Age of Innocence” di Martin Scorsese, USA, 1993

Seguendo questo principio, tutti i set vengono di norma coreografati con la scelta ed il posizionamento degli oggetti di scena (mobili, quadri, tappeti, ma anche luci e veicoli) e delle comparse previste nell’area di ripresa della camera (come passanti casuali o folla protagonista), in modo che tutto sia pronto per essere esaminato da quella sorta di “rassegna visiva” dello spazio cinematografico (ciò che di fatto vediamo sullo schermo) che i nostri occhi faranno grazie alla cinepresa, rendendo verosimile ed efficace l’illusione di realtà di un mondo di finzione studiato a tavolino, a volte ricostruito in modo molto realistico e naturale o persino documentaristico (la storia è piena di film in cui sono state spese follie per portare in scena vere macchine d’epoca, ricostruire facciate di palazzi e simulare strade cittadine senza asfalto, ma anche per nascondere tutte le modernità di un paesaggio urbano contemporaneo in film ambientati nei secoli scorsi, per un’immersione totale nella vicenda) o all’opposto per dare vigore ad una fantasia futuristica o magica, con scenari impossibili ed allucinanti o panorami avveniristici e persino visioni orrorifiche da incubo.

Architettura urbana futuristica in “Cloud Atlas” di Lana e Lilly Wachowski e Tom Tykwer, USA, DEU, CHN, SGP, 2012

Questo discorso sul punto di vista della cinepresa (come simulazione dello sguardo dello spettatore stesso) ci conduce alla modalità con cui viene immaginato, costruito e quindi visivamente realizzato lo spazio cinematografico, alternando il cosiddetto spazio diegetico (ovvero l’insieme delle immagini e dei suoni visibili ed avvertibili dagli stessi personaggi della finzione) e lo spazio non-diegetico (spesso in italiano chiamato anche extradiegetico ovvero esterno alla finzione, visibile ed udibile solo dallo spettatore, come la voce fuori campo di un narratore che spiega cosa stia accadendo, la colonna sonora di accompagnamento o le riprese fatte da angolazioni non compatibili con l’occhio umano, dal forte valore evocativo e simbolico e non più narrativo in senso stretto, che vedremo in dettaglio in altri post, successivi a questo).

La distesa dei soldati confederati feriti in “Gone with the Wind – Via col Vento” di Victor Fleming, USA, 1939

Per spiegare in modo veloce questa distinzione tra diegetico e non-diegetico, ci viene in aiuto la letteratura, laddove tutte le parti non-diegetiche di un testo sono normalmente molto ben visibili e riconoscibili, costituite di fatto dalle descrizioni (dei paesaggi, dei corpi, delle abitazioni, delle situazioni sociali e storiche) e dai commenti dell’autore stesso (in cui mostra empatia verso i suoi personaggi o quando pontifica in modo ironico o filosofico sugli accadimenti dello storytelling) ossia da tutto ciò che il narratore usa non tanto per procedere nel racconto della storia ma per dare una visione di insieme più tridimensionale di ciò che sta raccontando e descrivendo, rivolgendosi quindi direttamente ai suoi lettori e coinvolgendolo nelle sue osservazioni: in un film, invece, anche se il significato e lo scopo della diversa costruzione dello spazio narrativo sono le medesime, quel confine è molto più sottile e spesso appositamente reso confuso ed intercomunicante dal regista, come figura retorica usata per focalizzare l’attenzione dello spettatore.

Meta-cinema musicale in “La La Land” di Damien Chazelle, USA, 2016

Una dimostrazione classica, in tal senso, è il passaggio a doppio senso, senza soluzioni di continuità, tra musica diegetica e musica non-diegetica che avviene in precisi momenti della colonna sonora di alcuni film o fiction televisive, laddove ad esempio la musica che esce da un altoparlante di un negozio o da un device radiotelevisivo casalingo acceso dentro alla scena (quindi diegetica, perché udibile dai characters dentro la finzione) ad un certo punto diventa la sinfonia avvolgente di accompagnamento delle immagini mostrate, come musica di commento e vera colonna sonora del film (quindi non-diegetica, giacché non avvertibile più dai personaggi della finzione ma solo dallo spettatore), come mostrato nella clip seguente, tratta dal film supereroistico The Amazing Spider-Man 2, diretto nel 2014 da Marc Webb, in cui il brano Gone, Gone, Gone del musicista pop Phillip Phillips viene dapprima ascoltato solo come suono diegetico in cuffia dal personaggio di Peter Parker / Spider-Man (qui interpretato da Andrew Garfield) e poi, senza alcuna interruzione, ma solo aumentando di volume, diventa la colonna sonora di commento del resto della scena.

Quando vi capiterà in futuro di guardare un film o una fiction, noterete che queste passaggi tra audio diegetico e audio non-diegetico accadono di continuo e sono sempre molto chiaramente avvertibili, mentre è molto più complesso distinguere il lavoro fatto dai registi sulle immagini e sulla costruzione dello spazio visivo: quello presente nella maggior parte delle scene e delle sequenze è per lo più diegetico (perché appunto costruito attorno al punto di vista dei characters) e normalmente per creare l’illusione di presenza dello spettatore sulla scena è sufficiente che lo sguardo del regista (quindi del pubblico) possa stare vicino ai personaggi (alle loro spalle, di fianco, davanti, poco importa) e che mostri assieme sia i personaggi sia ciò che essi stanno guardando (ed udendo) dentro la scena, ovviamente con il lavoro indispensabile che si fa nella fase di montaggio (nei credits di un film straniero lo trovate alla voce “editing”), quando si assemblano in successione filmica tutti i diversi shot, fatti da diversi punti di ripresa, come nel caso delle scene di dialogo realizzate con il cosiddetto shot/reverse shot (in italiano campo-controcampo).

Shot/reverse shot frame per frame da “Hombre” di Martin Ritt, USA, 1967

È questa una delle tecniche di ripresa, usate per la creazione di uno spazio filmico diegetico, più antiche e più usate nel cinema di tutte le nazioni, in particolare in quello statunitense: invece di filmare i characters che parlano, fotografandoli tutti assieme sulla scena (come accadrebbe su un palco teatrale), vengono alternate distinte riprese speculari dei soggetti (in genere due, ma non è raro che siano anche di più) che parlano tra loro, mostrando a turno prima l’uno che guarda l’altro e viceversa, tutti inquadrati chiaramente in campo ravvicinato o addirittura in primissimo piano (il cosiddetto close up ovvero quando l’inquadratura è quasi interamente presa dall’immagine del volto o di un’altra parte del corpo o di un oggetto, anche se in quest’ultimo caso si preferisce l’uso del termine dettaglio), per maggiormente concentrare l’attenzione dello spettatore sulle espressioni facciali generate dalle emozioni delle cose dette e ascoltate dai personaggi, come esemplificato nella piccola clip seguente, tratta dal film Baby Face del 1933, diretto da Alfred E. Green ed interpretato da Barbara Stanwyck.

Con lo shot/reverse shot, il regista costruisce uno spazio visivo assolutamente diegetico, cercando di calare davvero lo spettatore nella testa e nel cuore dei personaggi: noi osserviamo ed ascoltiamo ciò che gli stessi characters stanno ascoltando e vedendo e tutto questo viene ottenuto con il sistema considerato per decenni quello più semplice e diretto e per questo gli esempi che possiamo trovare nei film sono quasi infiniti, ma ammiriamo adesso come questa tecnica sia arrivata oggi ad un punto di evoluzione stilistica tale da poter permettere la creazione di due splendide scene, come quelle che vi propongo nelle clip successive, tratte dalle sequenze iniziali di Midsommar, film sceneggiato e diretto nel 2019 da Ari Aster (uno dei più acuti e capaci giovani registi viventi, autore per ora di soli due lungometraggi, ma già entrambi diventati da subito dei cult amatissimi dagli appassionati della settima arte), gioiello di cinema horror contemporaneo, potenzialmente molto disturbante ed assolutamente inadatto a chi non sia completamente libero da inibizioni visive ed infine fortemente sconsigliato anche a chi non si concede in modo completo a questo genere cinematografico, ma anche talmente bello e ricco di invenzioni visive da lasciarsi riguardare più volte, rivelando continue sfaccettature narrative e psicologiche non immediatamente rilevabili e che, proprio per il suo altissimo valore di tecnica narrativa e sintassi visiva, sarà oggetto di un continuo saccheggio da parte mia in questa serie di post sul cinema.

Ari Aster istruisce i suoi attori sul set del suo “MIdsommar“, USA, SWE, 2019

Con queste due scene, Aster rinnova in modo elegantissimo la modalità classica usata al cinema per filmare un dialogo, con una tecnica davvero mirabile per la raffinata e semplice efficacia, tale proprio perché assolutamente non pedante o invadente, ma anzi quasi invisibile eppure ugualmente avvertibile dallo spettatore, proprio per l’effetto catalizzatore che ha su di lui: nella prima scena, Aster incolla lo sguardo filmico addosso a Dani, la protagonista femmile della storia (interpretata da una strepitosa Florence Pugh, una delle mie attrici preferite in assoluto, probabilmente qui nel ruolo più sentito della sua carriera), mentre cerca di ambientarsi in una festa organizzata dagli amici di Christian, il suo ragazzo ed alla quale lei stessa si è forzata di partecipare, proprio per evadere dal guscio di depressione in cui era crollata dopo un atroce lutto familiare, ma ciò che lei non sa è che alle sue spalle Christian ed i suoi amici stavano organizzando da tempo una vacanza in Europa senza di lei, considerata un peso, sempre in cerca di attenzioni; il dialogo tra gli amici è appositamente forzato e da loro condotto affinché Dani scopra del viaggio in modo fintamente casuale, per fugare ogni eventuale dubbio di una trama alle sue spalle ed il nostro regista, cambiando angolatura di ripresa continuamente ma in modo quasi impercettibile, per adattarsi alla diversa altezza della ragazza e dei ragazzi, segue ogni battuta, alternando lo sguardo interrogativo della ragazza e quello fintamente sincero degli altri ragazzi, permettendo così allo spettatore di seguire l’ordito dell’artificiosità di tutta la situazione, nonché lo stupore e l’imbarazzo della protagonista.

Nella seconda scena, invece, una volta tornati a casa, Dani ed il suo ragazzo sono soli e lei giustamente chiede un chiarimento su quello che ha compreso benissimo essere stato uno smacco compiuto alle sue spalle: per questo dialogo intimo ed imbarazzante, Aster mette in scena un finto shot/reverse shot, usando uno specchio verticale vicino alla porta in cui viene riflessa l’immagine di Christian, seduto nella posa stanca e ricercata di chi vuole apparire abbattuto per ingiustificati attacchi alla sua presunta onorabilità, permettendo così alla cinepresa di riprendere lo scambio di battute tra i due personaggi senza mai staccare la ripresa e senza bisogno quindi del montaggio alternato di shot distinti, ma restituendo ugualmente allo spettatore il dinamismo del dialogo e soprattutto, usando la cornice stessa dello specchio come modo retorico per sottovalutare (delimitare) i patetici tentativi del ragazzo di accampare scuse, tanto che alla fine egli cercherà di cavarsela giocando sull’aggressività e sulle minacce di abbandono (ahimé sempre efficaci per le personalità depresse che ricercano continue conferme negli altri per la propria accettazione), spingendo Ari Aster a tornare ad un più classico uso delle riprese speculari dello shot/reverse shot.

Per questa sera è tutto, ma torneremo nelle prossime puntate per scoprire assieme quali altre famose tecniche di ripresa vengono spesso usate per creare spazi cinematografici diegetici molto immersivi, con esempi davvero spettacolari e più avanti ancora parleremo invece di come i registi riescano a costruire anche spazi visivi assolutamente non-diegetici, usando tipi di shot molto particolari.

Buona serata, buon week-end ed arrivederci su questo schermo!


In questo post abbiamo parlato, tra gli altri, del seguente lungometraggio:

Midsommar, USA, SWE, 2019
Soggetto, Sceneggiatura e Regia: Ari Aster
Musica: The Haxan Cloak
Montaggio: Lucian Johnston
Direzione della Fotografia: Pawel Pogorzelski
Costumi: Andrea Flesch
Interpreti: Florence Pugh, Jack Reynor, William Harper


Categorie Cinema e Tv, New Kasa Shots

43 pensieri riguardo “Lo Spazio Cinematografico diegetico e non-diegetico: lo “shot/reverse shot”

  1. Bellissimo e interessante post come sempre, hai ragione, dopo questi tuoi post, quando si guarda un film si presta attenzione a tante cose che prima scivolavano via con indifferenza e tutto assume un significato più pieno e completo.
    Per quanta riguarda il post di quest sera mi è piaciuta molto una scena di spider-man con questa tecnica, infatti cercandola viene proprio proposta con la caratteristica del campo e controcampo da te spiegata:

    Buona serata Amico mio e grazie come sempre 😉

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    1. Sono come sempre molto contento del tuo gradimento, amica mia: io scrivo per il mio piacere personale e mi diverto già solo nel farlo, ma quando ricevo anche complimenti per quanto ho scritto e soprattutto quando qualcuno mi dice, come hai fatto tu, che in qualche modo, anche se fosse solo in minima parte, ha cambiato il suo modo di vedere un film dopo le mie modeste osservazioni, non posso che essere al settimo cielo!
      Grazie moltissimo!!

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  2. Splendido post ricchissimo di curiosità l’ho adorato tantissimo! Ora guarderò i film in modo più immersivo, non conoscevo tutte queste meravigliose tecniche! Grazie infinite per i tuoi post fantastici!
    Buon weekend e buona serata! 🤗♥️

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    1. Grazie a te Yle!
      Come ho appena scritto a Silvia, sapere che anche solo per un istante, potrai guardare un film con occhi diversi dopo aver letto le mie piccole esternazioni, è una gioia enorme!
      Grazie, grazie, grazie!!

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  3. Alessandro Gianesini 26 Giu 2021 — 20:34

    Qualche volta me li devo stampare questi tuoi articoli, così li posso avere sempre sottomano… 👏🏼👏🏼👏🏼

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    1. La stima che avevo già nei tuoi confronti (per le cose che dici e scrivi soprattutto per come le dici e come le scrivi) adesso sta in ottima compagnia con la mia gratitudine e direi persino con il mio affetto!!!
      ❤️

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      1. Alessandro Gianesini 26 Giu 2021 — 20:41

        E io sono grato alla tua gratitudine e al tuo affetto

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  4. IL DIARIO IN SOFFITTA 26 Giu 2021 — 21:03

    Ma che bello Kasabake, adoro la materia, l’occhio che da osservatore diventa scrutatore, che da semplice sguardo irrompe come un trompe-l’œil, la musica che fa il gioco della cinepresa o viceversa… stupendo post Kasabake, è vero dopo i tuoi post si presta più attenzione e il tuo narrare, ben staccato da un fare accademico che mal sopporterei, è veramente gradevole!!!!

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    1. Whaoo, Paola! Non sai che bello sentirti dire che malgrado la mia tendenza a pontificare (quasi inevitabile ogni volta che ci si mette in cattedra) sarei riuscito ad evitare un eccesso di accademismo… Dico sul serio perché questa serie di post dei miei NKS, proprio per il loro essere in fondo con velleità didattiche, è costantemente a rischio…
      Bene così allora e grazie sempre!

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      1. IL DIARIO IN SOFFITTA 26 Giu 2021 — 21:54

        È top

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  5. Ecco..ho imparato un’altra cosa nuova 😊👏👏👏👏👏👏👏

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    1. Mi sto divertendo tanto, amica mia!
      Grazie di esserci sempre!

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  6. E grazie a te sempre 😊

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  7. come sai non sono un fan di cinema e fiction tv ma ho trovato molto interessante questo che illustra le tecniche di ripresa in modo chiaro ed esaustivo.
    La grande differenza tra un romanzo e la sua versione per lo schermo – grande o piccolo che sia – sta racchiusa proprio nell’immagine. Il libro racconta le immagini e lascia al suo lettore di vederle con la mente. Cinema e TV invece mostrano le immagini lasciando le parole in sottofondo, quasi un’appendice. Quindi la visone è attraverso la vista, gli occhi.

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    1. Anche se per tua ammissione non sei un grande fan di cinema e televisione, hai comunque detto una grandissima verità, sulla differenza di linguaggio tra i due media, una verità che spesso viene dimenticata persino da chi il cinema lo fa davvero!
      Mentre in letteratura la parola è tutto e serve a suggerire immagini nella testa del lettore ed anche a farlo riflettere (suggerendo considerazioni persino sui massimi sistemi, perché i grandi romanzi non sono mai solo storie fine a loro stesse ma tra le righe ci parlano sempre di tanto altro), al cinema sono le immagini a dover fare lo stesso lavoro, per l’appunto raccontando storie e suggerendo riflessioni.
      Può sembrare banale, ma non lo è assolutamente, perché con la costruzione di una scena un bravo regista può trasmettere anche il carattere di un personaggio senza usare le parole, facendo intuire allo spettatore tutto quello che un romanziere impiega pagine per descrivere: Steven Spielberg, nel suo bellissimo “The Color Purple – Il Colore Viola”, con la ripresa del vassoio pieno di cibo scagliato contro il muro di legno, con quel colore acceso del cibo che scorre lentamente sul muro, con quello sporco imposto e quella violenza del gesto, è riuscito ad esprimere tutta l’aggressività misogina del protagonista maschile, che la romanziera Alice Walker aveva saputo descrivere a parole nel romanzo omonimo da cui questo film è tratto e questa è una grande lezione!
      Il cinema non deve essere schiavo della parola scritta e non deve metterla in bocca ad una voce fuori campo che legga il testo mentre scorrono le immagini, perché quando questo accade è un fallimento del cinema: sono le immagini a dover parlare, i colori, le scelte fotografiche, le profondità di campo e mai la semplice ricopiatura di un testo.
      Nel bellissimo “Mommy” di Xavier Dolan, ad un certo punto del racconto il regista, per esprimere il senso di frustrazione e disperazione della madre che sogna un futuro prestigioso per il figlio problematico, comincia a mostrare le immagini del personaggio della madre del protagonista ad una festa sempre più sfocate, fino quasi a diventare indistinguibili, come la realtà vista da qualcuno affetto da fortissima miopia che guardasse il mondo senza occhiali e questo, in accompagnamento alla musica, crea un senso di angoscia ed inadeguatezza profonda anche nello spettatore, che riesce così a comprendere meglio lo stato d’animo del personaggio, al pari di un intero capitolo scritto di un romanzo o di un racconto.
      Grazie Nuovo Orso Bianco di esserci sempre e di commentare i miei post anche quando esulano decisamente dalla tua sfera d’interesse e soprattutto persona la mia logorrea!

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      1. hai completato perfettamente il mio pensiero con esempi chiari di come il cinema se ben costruito serva allo spettatore per capire la storia ma in dettaglio i suoi persomnaggi.

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  8. GRAZIE!
    Finalmente ho compreso meglio la differenza tra diegetico ed extra diegetico … ogni volta mi rapportavo a questa parola con sospetto 😀 e molto spesso mi perdo nella visione dei film senza cogliere i dettagli.

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  9. Ciao kasabaKe. Interessantissimo, ed è vero fra diegetico ed extra diegetico. Il cameraman inquadra “secondo la sua personalità”, inquadra magari una cosa che lo attira, persino il ciuffo di erba sopra un comigno di una casa stile Amityville horror..’. persino le comparse (a maggior ragione gli spettatori (o ad egual ragione cosa soggettiva) guardano “in modo diverso dalla scena reale , nella assenza di un set. Alla stazione di Milano 1982 Pozzetto girava la scena, di affacciava alla portiera. Io ero appena sceso. Ero comparsa, ma condizionato, dal fatto che ci fosse Pozzetto, e tendevo a guardare in alto, lui sulla pedana …

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    1. Le comparse che si accorgono di esserlo, sicuramente sono condizionate dal set .
      La società
      La nostra piazza era un deserto. Esce da un camion Rocco Papaleo vestito da prete…piazza piena, gente che non si parlava mai e teneva abitualmente l e distanze, vicinissime fra loro per “esserne parte”.
      Poi è chiaro, le inquadrature scelte, i chiaroscuri, soffermarsi su un oggetto (un cameraman fisso la inquadratura per del tempo di qualcosa che gli era sembrato un ufo mentre prima inquadrava Papa Giovanni Paolo secondo ! Poi torno’ sul soggetto principale, il sommo pontefice.

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      1. C’è chi ha proposto di girare film (avete sentito?Non ricordo il nome dei geni..) con…nessuno che fuma! Ne’gli attori, né le comparse, nessuno, “per non pubblicizzare il fumo”. Ma..e il realismo, in tale tipo di film? In una piazza (es. Piazza Duomo), nessuno che fuma.!???? ).

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        1. Un:altra cosa ancora. Ho pensato (ho saputo poi che qualcosa di simile forse esiste) ad un film visto e sentito tutto con gli occhi del protagonista. Lo spettatore vede le braccia dell’attore, se questi si china lo spettatore vede le gambe. Vede le persone e le cose che l’attore guarda..insomma, come un uovo con una “mini camera ” in testa o sotto le ali. In un colossale: “Io sono Giulio Cesare..”e lo spettatore vede le braccia rivestita della tunica che si agitano nella foga del discorso, e “Cesare” vede la gente che acclama.
          Non mi intendo di cinema, ma ho avuto sentore, dopo aver pensato, che qualcosa di simile sia stata provata.
          Non contando il delfino con la camera pero’
          Ciao 🙂

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          1. Ecco, mi ero perso per strada questo tuo commento: lo avevo visto poi il mondo è andato avanti, l’autobus arrivato, mia moglie ha telefonato, le cose sono corse e… Boom, il tuo commento è rimasto indietro, assoluto incolpevole… povero commento al quale avevo anche iniziato a rispondere…

            Comunque mi premeva dire che esiste un film che corrisponde perfettamente alla tua descrizione: si chiama “Hardcore”, è russo, è diretto dal giovanissimo Ilya Naishuller che ha girato tutto in presa diretta e POV (Point of View) con una versione potenziata della classica telecamera a sport estremi GoPro ed è considerato un film sperimentale assolutamente riuscito!
            Ilya Naishuller ha poi ottenuto, grazie a quello, il film in circolazione in questi giorni “Nobody” scritto dallo sceneggiatore dei tre John Wick…
            Eccoti il trailer:

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            1. Ciao. Non ti dovevo preoccupare del commento, il mondo è più importante. Ho scritto infatti che di sicuro , o forse ho usato l’avverbio..forse , che questa cosa e stata fatta. Io solo lo pensai di mio, prima (anni) di aver sentore di averne sentito parlare. ‘gl scienziati pensano a grandi astronavi che prendono l’idrogeno dallo spazio (per la fusione nucleare,) a certa velocità il rarissimo pulviscolo di idrogeno ed Elio è denso, e l’astronave lo risucchia come fa la balena col plancton”. E io che guardo la TV ed esclamò “toh, la mia idea…”
              Mi capita spesso, come avvenne nel caso di quel tipo di cinema.
              Rispondero a tutto il resto quando sarò a casa, mi dimetteranno domani ma farò un periodo di “decantazione”fa un fratello qui ad Oristano (il paese di origine e la mia casa distano 24 km circa). Ciao 🙂

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        2. Infatti sarebbe una forzatura ma il cinema è già stracolmo di forzature ed il realismo è sempre più assente…

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          1. Si, ma un film dove nessuno fuma è distopico, anzi…utopico, sarebbe bello un mondo senza fumo. Ma anche senza fumo di ciminiere e di motori di macchine. Se esiste una civiltà iena che va in giro per il cosmo, di certo nelle loro città non si usa il fuoco. E non si fuma. Ma stiamo parlando di luoghi utopistici o lontani.
            Reali nel secondo caso, ma lontani, perché civiltà aliene non più schiave della combustione, probabilmente esistono.
            Noi saremmo allora i più retro’? No, livello medio diciamo. Ciao.

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            1. Bella questa visione futuristica, sul serio ma debbo ancora risponderti agli altri commenti, di cui uno molto gustoso… Perciò provvedo!

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      2. A questo proposito, delle comparse che come hai scritto tu sanno e non sanno di esserlo, c’è un bellissimo episodio avvenuto durante la lavorazione di Birdman, il film diretto da Inarritu fatto con solo pochissimi piani-sequenza, senza quasi smettere quindi di riprendere: il regista doveva filmare in Times Square una scena lunghissima, con Michael Keaton che attraversava l’incrocio in mutande e la folla che si accorgeva di lui mano a mano che avanzava ma la folla era già sul posto, pronta a vedere il divo e questo si sarebbe visto in camera e tutta la presunzione di spontaneità sarebbe andata a farsi benedire… Bisognava distrarre quell’enorme folla in attesa del divo ed allora il regista ebbe un’idea geniale ed assoldò una banda numerosissima, armata di tamburi, trombe e bastoni da far roteare in cielo e li mise ai bordi opposti della strada dove passava Keaton, quindi cercò di sincronizzare i movimenti della troupe vera (che riprendeva Keaton) e di una troupe finta (che fingeva di riprendere la banda e la folla che guardava) e poi diede il via alle riprese…
        La scena venne perfetta, con Keaton che attraversa la folla spaesata e disorientata…

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    2. Un aneddoto gustosissimo e che dice moltissimo sul rapporto tra realtà e finzione: sei davvero una fonte di continue sorprese!!!

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  10. Ci saranno errori. Commenti lunghi, scritti dal cellulare, in un petto di ospedale con una flebo attaccata.
    Me lo dico sempre, sono un…kamikaze 🙂

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    1. In un petto di pollo..LETTO DI…

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    2. Anzitutto sappi che di errori non ne ho quasi visti ed anch’io sto scrivendo con il cellulare!!!
      Ma come mai in ospedale?

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  11. Sappi che mi sei mancato. Lo so, tu se sempre stato qui, sono io che ho saltato le lezioni 😁 Mo recupero però 🌹

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    1. Un commento ed un complimento così gradevole e gentile nei miei confronti che sarebbe stato il miglior modo per me di iniziare la giornata… Se non fossi una persona con una gestione de tempo così caotica da risponderti solo ora… 😅

      Comunque il nostro è un ritrovarsi di chi in realtà non si è davvero perdersi di vista, perciò grazie di tutto

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      1. E’ talmente interessante e istruttivo leggere i tuoi post sulle tecniche cinematografiche, che non potrei più farne a meno. Mi insegni tanto su un tema che amo. A te un grazie sincero 💖

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        1. Grazie di cuore, sul serio: non c’è premio migliore per me di ciò che hai detto!!!

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RIVA OMBROSA

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Sono una donna libera. Nel mio blog farete un viaggio lungo e profondo nei pensieri della mente del cuore e dell anima.

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